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Fabrizio Bentivoglio e Barbara Ronchi © Francesca Fago
Non è il primo Settembre che abita il grande schermo, l’esordio alla regia dell’attrice e sceneggiatrice Giulia Louise Steigerwalt, presentato in anteprima al Bif&st di Bari. Ce ne fu un altro, tanti anni fa, firmato Woody Allen, in cui un personaggio diceva: “Ci sono persone che sopravvivono e altre che permettono alle tragedie della vita di annientarli”.
Non è tra i punti di riferimento dell’autrice, però la citazione del maestro è un buon punto di partenza per cogliere il cuore del film ed entrare nelle vite dei suoi personaggi, le cui vicende si toccano in un giorno di fine estate. Poco prima della riapertura della scuola: perché, è vero, molte persone non ragionano secondo gli anni solari ma restano ancorati ai tempi del ciclo scolastico. Se si deve cominciare qualcosa, si fa a settembre. A maggior ragione se si deve ricominciare.
Sopravvivono, i protagonisti di Settembre. Almeno alcuni di loro. Sopravvive Francesca (Barbara Ronchi, sempre più brava e piena di sfumature), quasi invisibile agli occhi del marito (Andrea Sartoretti) e costretta a fare i conti con un imprevisto clinico. Sopravvive la sua amica Deborah (Thony, luminosa anche nel dolore), che viene tradita dal marito ma, un po’ per caso e un po’ per desiderio, si scopre vicina a Francesca in un modo nuovo.
Sopravvive Guglielmo (Fabrizio Bentivoglio, anche lui strepitoso in un ruolo non consueto), medico divorziato e apatico che di notte si vede con una giovane prostituta, Ana (Tesa Litvan). Che sopravvive ai margini della metropoli, dimenticata da tutti, e prova a scommettere sull’amore per un giovane panettiere gentile (Enrico Borello).
La vita, invece, è un orizzonte sconosciuto per Maria (Margherita Rebeggiani) e Sergio (Luca Nozzoli), il figlio di Francesca: lei finalmente potrà fare l’amore con un ragazzino che le piace; lui, che ha combinato l’incontro, le insegna i segreti della sessualità trasmessigli dal cugino più esperto. Sono piccoli, bombardati dal sesso e però, come tutti gli adolescenti da che mondo è mondo, sono ostaggi dei loro imbarazzi, delle emozioni che non hanno nome perché conosciute per la prima volta.
Sono storie che si toccano, si sfiorano, a volte si intrecciano, in una Roma solare e lontana dal centro, calda ma non afosa, che abbraccia con maternità anche nelle sue asperità (la fotografia è di Vladav Radovic). E che risveglia i personaggi dal torpore, mettendoli di fronte a un dolce imperativo: non farsi annientare dalle tragedie. Perché, come dice Guglielmo, gli scossoni a volte sono utili per innescare qualcosa, non c’è bisogno di immolarsi a un dramma.
È un film delizioso, Settembre, che espande il cortometraggio omonimo di Steigerwalt innestando l’avventura dei ragazzini con gli episodi degli adulti. C’è un affetto sincero nei confronti dei suoi protagonisti e c’è molta empatia nel raccontare il loro percorso di accettazione delle difettosità. Non si tratta di indulgenza quanto proprio di prossimità emotiva, anche nei confronti di coloro che manifestano qualche limite nell’articolare il discorso amoroso o nel “pensare per due” poiché si sta insieme anziché per uno nonostante si stia insieme.
In questo senso è un film profondamente italiano, una commedia seria che individua l’umorismo come prisma per interpretare le cose della vita, rinnova il magistero di Luigi Comencini e torna alla Francesca Archibugi delle origini. Senza dimenticare la costellazione del dramedy indie tra Garden State, Noah Baumbach e Judd Apatow a cui sembra guardare con attenzione Steigerwalt, quasi a voler collocare la sua opera prima in un orizzonte non solo local ma anche dal respiro più ampio. Un film solo apparentemente piccolo e invece notevole, che rispetta personaggi e spettatori e offre loro la possibilità di una strada nuova, una carezza che allevia l’ansia, l’ipotesi di una felicità diversa.