Monaco, 1972. La Germania ospita le Olimpiadi per dare al mondo il segnale che la Seconda Guerra Mondiale è un ricordo lontano, e il Paese è riunito e pacifico. La rete televisiva americana ABC ha inviato sul posto la redazione sportiva al completo, e si prepara a raccontare le gesta del nuotatore Mark Spitz, supervincitore annunciato di quell’edizione olimpica. Quello che la redazione non può prevedere è che si ritroverà a documentare, agli occhi di tutto il mondo, l’attacco terroristico da parte di un commando palestinese avvenuto il 5 settembre contro i componenti della squadra israeliana.

September 5 ripercorre le ore concitate in cui quella copertura mediatica è stata fondamentale per l’informazione globale, ma ha anche inconsapevolmente interferito con gli interventi delle forze dell’ordine e alimentato voci dilaganti intorno all’attacco.

Diretto da Tim Fehlbaum, regista svizzero tedesco 43enne – dunque non ancora nato nel 1972 –, il film fa leva su quel tragico evento per allargare il discorso sulle responsabilità dei media in un’epoca in cui i mezzi tecnologici a disposizione erano molto più limitati, ma le comunicazione cominciavano ad assumere l’attuale portata globale.

Che poi il resoconto di quell’episodio veda la luce mentre nel Medio Oriente impazza il conflitto fra Israele e Hamas è una casualità temporale, che tuttavia non manca di rendere questa rievocazione storica ancora più rilevante.

Di per sé September 5 non è un film politico, ma le questioni sollevate lo sono in sé, perché anche le scelte redazionali rischiano di avere una componente ideologica: all’interno della redazione sportiva della ABC c’è ad esempio Marvin Bader (interpretato da Ben Chaplin), il vicepresidente ebreo americano molto sensibile al tema dell’antisemitismo.

Il produttore esecutivo Geoffrey Mason (John Magaro, il migliore in scena) verrà promosso sul campo e dovrà assumersi la responsabilità di dirigere le operazioni assicurando una copertura efficace ed equilibrata, cioè dando un colpo al cerchio del giornalismo e un altro a quello dello spettacolo, senza cadere in manicheismi politici.

Fehlbaum mette in scena gli eventi con realismo, ricreando non solo un’ambientazione d’epoca credibile (le scenografie sono di Julian R. Wagner, la direzione della fotografia retrò di Markus Förderer) ma anche un’atmosfera da film impegnato anni Settanta, coeva all’evento storico narrato. Siamo nel 2025 e non c’è più il fervore politico del cinema di quel tempo, ma c’è la concitazione da thriller e la ricostruzione di un momento storico sospeso che ricorda quella fatta da Marco Bellocchio in Esterno Notte, ricreando quegli attimi in cui nessuno sapeva come comportarsi davanti all’incalzare degli accadimenti. Anche in September 5 sono numerose le immagini d’archivio, compresa la celeberrima scena del terrorista che spunta sul balcone con il passamontagna sul viso, ricostruita invece come finzionale da Steven Spielberg in Munich, il film più memorabile su quel 5 settembre 1972.

Le questioni in September 5 si fanno profondamente morali: che cosa è giusto mostrare al mondo, in tempo reale? Sono più importanti gli ascolti o la tutela delle vittime e dei loro famigliari? Come si possono rispettare le sensibilità degli spettatori e allo stesso tempo fare un buon lavoro di documentazione giornalistica, magari portando a casa qualche scoop?

©2024 Paramount Pictures
©2024 Paramount Pictures
Roone Arledge (Peter Sarsgaard) stars in Paramount Pictures’ “SEPTEMBER 5," the film that unveils the decisive moment that forever changed media coverage and continues to impact live news today, set during the 1972 Munich Summer Olympics.

Anche la battaglia all’interno della redazione si combatte fra la necessità professionale di raccontare una situazione drammatica e in continua evoluzione ad “oltre 900 milioni di spettatori” (fra cui i terroristi), e il desiderio di uscire dal “ghetto” sportivo per entrare nella serie A della comunicazione di attualità e politica: fra ambizioni e senso del dovere.

Come dirà Peter Jennings, inviato alle Olimpiadi e poi celebre anchorman (per cui i reportage da Monaco hanno rappresentato un notevole avanzamento di carriera): “Qui non si parla più solo di Olimpiadi”.

La componente incontrollabile degli eventi, e l’inseguimento mediatico alla notizia nel suo evolversi costante, separa le coscienze degli uomini dalla loro deontologia professionale, rendendoli incapaci di valutare appieno le conseguenze del lavoro giornalistico di ognuno. È in quel momento che si pone la necessità di mandare in onda in differita le immagini, perché la redazione deve chiedersi “se sia possibile mostrare in televisione un omicidio live”, e decidere in che modo verificare le informazioni, a rischio di diffondere fake news: quesiti ancora estremamente, se non maggiormente, attuali.

September 5 dedica ad ogni personaggio un suo spazio di espressione individuale, ma lo rende anche portavoce di una sfaccettatura del discorso, e il cast di professionisti interpreta con rigore la squadra di altrettanto abili professionisti nel campo della comunicazione televisiva. Da spettatori, teniamo il fiato sospeso davanti a una vicenda di cui è facile apprendere ogni dettaglio (e molti la ricordano in prima persona), grazie alla bravura degli interpreti e alla scelta di raccontare gli accadimenti attraverso il filtro (e il prisma) del “dietro le quinte televisivo” che conferisce un’angolazione inedita alla questione, e un passo febbrile alla narrazione.

Fehlbaum e i suoi cosceneggiatori Moritz Binder e Alex David inseriscono nella vicenda anche un personaggio femminile, Marianne Gebhardt, intrepretato dall’attrice tedesca Leonie Benesch (già protagonista de La sala professori), unico tramite con la polizia e i media tedeschi, professionista piena di iniziativa regolarmente sottovalutata da una redazione tutta maschile. Se la sua invenzione è un omaggio alle sensibilità inclusive ne siamo grati, perché ci ricorda con efficacia cinematografica l’alto tasso testosteronico delle redazioni sportive, e il modo in cui pare necessaria un’emergenza per valorizzare il talento femminile al loro interno.