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Emilio Solfrizzi in Se sei così
Non è una commedia perfetta, e forse non è neppure una commedia. Ma è un film dotato di una precisa fisionomia emotiva, una leggerezza gravida d'imbarazzi, minacciata sempre di scrostrarsi come intonaco dal dramma. La terza prova in regia di Eugenio Cappuccio (Volevo solo dormirle addosso, Uno su due) è probabilmente la meno compatta e la più convincente. Non è detto che siano due caratteristiche inconciliabili. Se sei così ti dico sì baratta volentieri una certa evanescenza narrativa con l'appassionata tranche de vie di un vinto, il Piero Cicala interpretato con intensità da Emilio Solfrizzi: maschera dal volto tetro e il capo chino, disadorno dentro e fuori, figura di galleggiamento, corpo che non si arena né salpa, nel tranquillo naufragio di una giornata.
Basta il suo ingresso in scena - preceduto da una serie d'indizi che Cappuccio dissemina sapientemente (la lunga ricerca dell'emissario della RAI) a evocarne leggenda e ridicolo - per sintonizzarsi immediatamente col suo mondo di sogni falliti e promesse depresse. Solfrizzi ha lavorato pesantemente al trucco - è vero - ma la sconfitta è scritta nelle piccole sfumature che l'attore ha saputo costruire su e attorno al suo personaggio. E in una regia sensibile, attenta sempre a valorizzarle: uno sguardo smarrito, l'occhiata atroce della moglie, parole al vento, parole avvelenate, gesti compressi come l'andatura di quest'uomo, sbilenco, curvato. Le affinità con il Tony Pisapia interpretato da Servillo (L'uomo in più) ci sono eccome, ma è sulla differenza che l'operazione di Capuccio coglie un'opportunità, segnala uno scarto, intercetta un mutamento epocale. Piero è uno di quei volti della musica leggera italiana che hanno avuto uno repentino successo negli anni '80 - grazie a una sola canzone: Io, te e il mare - e sono stati dimenticati immediatamente dopo, precipitati in quell'anonimato che fa anche più male perché figlio di una disillusione.
Ma il film non si rassegna e rifiuta di abbandonarsi alla facile elegia della sconfitta. Dopo la verace, folcloristica, parentesi pugliese (fotografata con una luce particolare, all'antica, da cinema anni '80) è come se ricominciasse daccapo Se sei così ti dico sì, immedesimandosi - cuore e pelle - con la "seconda volta" del suo personaggio. A Roma, dove ad attenderlo ci sono lustri e lustrini dello scintillante mondo dello spettacolo, la pellicola cambia grana, temperatura, colore (Cappuccio ha lavorato sia col 35 mm che con speciali macchine digitali). Tutto più lindo, più finto. Non mancano le stilettate al posticcio showbiz di casa nostra e al circo mediatico che lo cintura, con inevitabili cliché sul crudele dietro le quinte televisivo, il giornalismo decerebrato, l'impero dell'effimero. Ma Cappuccio non calca la mano - in fondo, pure con capricci e annessi, la superdiva Belen (che se la cava) è più umana di tante figure e figurine di contorno - e preferisce percorrere le strade del suo personaggio fino in fondo, precipitandosi con lui nella caduta più avvilente (la triste esibizione americana dove Cicala perde pure il parrucchino) e con lui risollevandosi, fino al ritorno a casa. Dove Piero ritroverà forse la stessa vita di prima - non lo sappiamo - ma di sicuro non perderà più il sorriso di chi alla fine ha ritrovato se stesso.