Arriva nella vita di quasi tutti i narratori il momento “Otto e mezzo”, ossia un periodo creativo in cui non si sa cosa dire, magari ci si è stufati di dire le cose ripetute un po’ ovunque, e si è costretti a riflettere su sé stessi, a raccontare quell’impasse, come fece Fellini nel suo capolavoro.

A questa fase è arrivato anche Maccio Capatonda che ha elaborato la sua crisi creativa in Sconfort Zone, la sua nuova serie prodotta e distribuita da Prime Video, che prosegue nell’auto-narrazione comica dopo i successi di Vita da Carlo e Io sono Lillo (e altri prodotti non comici, ma prossimi al romanzo del sé).

La serie (6 episodi da mezz’ora circa l’uno) vede Maccio, nel ruolo di se stesso, entrare in crisi perché ciò che fa non lo diverte più, attorno a lui le cose si fanno troppo commerciali e poco personali e affrontare lo stallo attraverso un percorso di psicoterapia di grande impatto in cui un luminare controverso (Giorgio Montanini) lo porterà a ritrovare l’ispirazione affrontando prove psico-fisiche sempre più complicate, dalla degenza in una RSA come malato terminale fino all’assassinio. Molte sorprese lo aspetteranno.

Giorgio Montanini e Maccio Capatonda in Sconfort Zone
Giorgio Montanini e Maccio Capatonda in Sconfort Zone

Giorgio Montanini e Maccio Capatonda in Sconfort Zone

Capatonda (il cui vero nome è Marcello Macchia) scrive assieme a Mary Stella Brugiati, Alessandro Bosi e Valerio Desirò, lasciando la regia ad Alessio Dogana, con il preciso obiettivo di sondare terreni poco comodi della comicità e del proprio rapporto con gli spettatori. Se l’impianto è consono alle possibilità comiche della serialità (anche il precedente The Generi affrontava una storia cambiando genere narrativo per ciascun episodio), la direzione però è quella di togliersi dalla sicurezza dei personaggi e delle formule, di raccogliere spunti da portare alle estreme conseguenze comiche, sfociando, perché no?, nel disagio, come nel memorabile e sinceramente penoso incontro nel terzo episodio con Ilaria Galassi, ex-stella di Non è la Rai e adolescenziale sogno erotico del comico.

Se il rapporto con il successo, le richieste del pubblico, la diffidenza per ciò che lo ha reso famoso e amato sono più facili e richiamano il Woody Allen di Stardust Memories, è molto interessante il ruolo che gioca lo scavo in sé, nella sua idea di comicità e nel rapporto conflittuale che il comico ha con essa, sia cercando di capire cosa sia il Comico oggi, il modo in cui il pubblico si diverte (da Così ridevano a Così rideranno), cos’è davvero la scorrettezza politica che molti reclamano come un diritto e in che modo la risata possa rivelare pieghe dell’inconscio di chi crea e di chi guarda. Sconfort Zone racconta della realtà come posto disagevole, del bisogno di farsi da parte e togliersi dal centro del mondo e di come sia impossibile riuscirsi, se il tuo posto è su un palco.

Sconfort Zone
Sconfort Zone

Sconfort Zone

Il bello è che Capatonda, supportato da un cast di contorno meraviglioso, da Montanini a Camilla Filippi e Francesca Inaudi, da Desirò al coro composto da Lundini, Fru e Ferrario, riesce a fare questo percorso serio fino alla cupezza, non dimenticando mai il suo talento comico, il suo amore per il nonsense, la ventata di follia che da surreale diventa iperreale: Sconfort Zone appare così un punto di approdo di una ricerca che il suo autore ha cominciato a intraprendere già da un po’, sperimentando e osando, straniando anche il suo pubblico. Un arrivo per nulla confortevole, grazie al cielo.