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Sarah Bock, Adam Scott, John Turturro, Zach Cherry e Britt Lower nella seconda stagione di Scissione - Courtesy of Apple TV+ .jpg
Thriller, distopia, science fiction, office romance, dark humour: questi i generi che Scissione attraversa con sicurezza, una miscela unica costruita dall'esordiente Dan Erickson, ex venditore di porte tramutatosi in creatore di grido grazie a un'idea originale e geniale, finita fortunatamente nelle mani di Ben Stiller, qui produttore nonché regista di molti episodi. Stiller ha subito intuito l'enorme potenziale della storia, erede di visioni letterarie dagli anni Cinquanta ai Settanta; autori come Ray Bradbury, George Orwell, Philip K. Dick (soltanto per citarne alcuni) hanno ben descritto lo straniamento, la paranoia, l'alienazione, il senso di oppressione di un futuro claustrofobico in cui l'individuo sostanzialmente lotta per la libertà personale. Il cinema dell'epoca ha saputo fare sua quest'onda di pensiero – uno per tutti è Fahrenheit 451 di François Truffaut – e lo stesso accade ai giorni nostri con la serialità.
Arriva finalmente dopo un'attesa sfiancante, certificata come la più lunga nel catalogo Apple TV+ (tre anni circa dalla messa in onda della prima) la seconda stagione di Scissione, ed è una gioia e un sollievo poter dire che sì, valeva la pena aspettare tutto questo tempo: anche stavolta la serie si conferma come uno dei migliori prodotti in circolazione. La storia, la scrittura, le scelte di regia, la bravura del cast, la colonna sonora, le ambientazioni: difficile scegliere quali siano i punti di forza, perché ogni singolo aspetto che compone l'universo di Scissione è frutto di grandissima ambizione, di fini cesellature, di spasmodica attenzione al dettaglio. Si mira come minimo alla perfezione, e non siamo, davvero, lontani dal centrare il bersaglio. Dopo aver ammaliato pubblico e critica nella prima metà del 2022 con nove episodi preziosi come gemme, il cliffhanger finale ha messo la ciliegina sulla torta, lasciando sì appesi, ma anche soddisfatti. Si riparte proprio da qui, dalle conseguenze e dalle reazioni dei protagonisti a quanto avvenuto in quella serata di incredibili rivelazioni.
Arena delle vicende narrate è la potente e oscura Lumon Industries, una multinazionale all'avanguardia che gestisce in maniera peculiare il rapporto tra vita privata e professionale di alcuni suoi dipendenti, attraverso una procedura medica irreversibile che scinde l'io in due metà separate e non comunicanti tra loro. A fine ogni giornata, il lavoratore "scisso" non conserverà alcun ricordo di pratiche e colleghi, e non sarà altresì distratto da pensieri personali mentre è in azienda. Potenzialmente un vantaggio da ogni punto di vista, oppure no?
Il protagonista della serie è Mark Scout, ovvero Mark S. (Adam Scott), impiegato "scisso" del reparto Macrodata Refinement (MDR) col ruolo di supervisore della sua piccola squadra, composta da Irving B. (John Turturro), Helly R. (Britt Lower) e Dylan G. (Zach Cherry). Il quartetto, in barba a tutte le rigidissime imposizioni dell'azienda, è riuscito a scavalcarne il divieto massimo, facendo sì che, per pochi minuti, il loro io "di fuori" (detto outie,esterno) venisse sostituito dall'io "di dentro" (detto innie, interno) col preciso scopo di scoprire cosa si nasconda dietro alla Lumon e, non meno importante, chi siano gli innie al di fuori del luogo di lavoro.
Le conseguenze alla coraggiosa impresa non tardano ad arrivare e ne scopriamo gli effetti insieme a Mark S., che nel primo episodio di questa stagione si ritrova davanti impiegati mai visti prima; allo sconforto di Mark si unisce quello dello spettatore, messo sul chi va là fin dal trailer che rivelava una nuova formazione dell'MDR. Il nostro non demorde ma nemmeno trova risposte esaurienti sulla sorte di Helly, Irving e Dylan da parte di Mr Milchick (Tramell Tillman), neopromosso a responsabile del piano.
Eh sì, anche la diabolica Ms Cobel (Patricia Arquette) è stata epurata, ma soltanto dall'edificio; e non abbiamo ancora metabolizzato lo stupore per questo avvicendamento quando ci viene presentata la figura che ha assunto il ruolo di Milchick: lei si chiama Ms Huan (Sarah Bock) e la sua inquietante particolarità lasciamo che sia il pubblico a scoprirla. L'equilibro tra il tempo dedicato al lavoro e quel mozzico che rimane per la vita privata è uno dei rovelli della società capitalista, che da sempre spreme lavoratrici e lavoratori nel nome della maggiore produttività possibile, senza se e senza ma. Esistono certamente realtà in cui il bilanciamento di queste due parti della vita non prevede sfruttamento, ma ancora per tanti portarsi il lavoro a casa è una consuetudine impossibile da sradicare.
Alla Lumon garantiscono il sogno felice di non essere schiavi del lavoro, grazie all'impianto di un minuscolo chip nel cervello, capace appunto di scindere la memoria delle ore lavorative dalle altre. Il momento di passaggio avviene nell'ascensore dell'azienda, dove quotidianamente il nostro entra come Mark Scout per trasformarsi nel più anonimo Mark S. una volta giunto al piano del suo ufficio. Mark S. non conosce il suo cognome, né altri dettagli della sua vita; Mark S. esiste soltanto nelle otto ore lavorative, e ogni giornata per lui inizia e finisce all'apertura e chiusura delle porte dell'ascensore. Lui e gli altri innie vivono soltanto tra le mura dell'azienda, ed esistono soltanto per lavorare.
Non hanno mai visto il cielo, non sanno cosa sia un abbraccio; si esaltano per premi aziendali ambitissimi, quali frutta o waffle, ma anche con una pausa musicale danzereccia tra sedie e computer. Si struggono per la loro stessa vita esterna, non immaginando le motivazioni che li hanno condotti fin lì. Il lavoro da svolgere è "misterioso" e "importante", ma nessuno di loro ha idea di cosa consista davvero. Nel caso dei macrodata refiner si tratta di raggruppare numeri disposti in modo disordinato sullo schermo del computer e rinchiuderli in alcuni contenitori virtuali. I numeri vengono scelti sulla base della "paura" che si prova alla loro vista. Cosa rappresentino i numeri e le operazioni intorno ad essi è ignoto, e ogni innie ha una teoria bislacca a riguardo. In un altro reparto dello stesso piano c'è la sezione Optics and Design (O&D), già regno di Burt G. (Christopher Walken) apparentemente dedita all'archiviazione e al restauro di dipinti, ma anche alla produzione di immagini prive di significato o di oggetti quotidiani inaspettati come un innaffiatoio.
E poi, sì, sappiamo che sempre allo stesso piano sono presenti anche delle caprette, custodite con grande cura in una nursery di tutto rispetto, in cui vengono nutrite col biberon da personale specializzato. Il resto del piano è un labirinto asettico di corridoi lattescenti, tutti uguali, troppo luminosi, in cui i dipendenti sanno muoversi con la sicurezza di una cavia da laboratorio. Un ambiente asettico, ma contemporaneamente assurdo e il grottesco. Un tono narrativo spiazzante e implacabile, ma anche capace di non prendersi troppo sul serio. Tutto in Scissione è simbolico: anche i due pesci nell'acquario in casa di Mark, uno rosso e l'altro scuro, sono divisi tra loro. Il tema del doppio, già reiterato ossessivamente nella prima stagione, qui viene ulteriormente amplificato generando distorsioni stranianti ed echi inaspettati, e torna a sorpresa anche nel racconto della vita di Kier Eagan, guida spirituale e padre fondatore della Lumon, sempre più setta millenaristica e sempre meno azienda. Ogni personaggio ha letteralmente in sé il proprio doppio, perché non soltanto la memoria è divisa, ma anche qualcosa che assomiglia molto al concetto di coscienza lo è. "Voi innie non siete neanche persone", tuonava la scorsa stagione la terribile outie Helena, rivolgendosi alla propria innie, una Helly disperata che non accetta di lavorare alla Lumon. Ora la posta in gioco si eleva a questione filosofica, e si arriva a domandarsi se gli innie abbiano l'anima, e qualcuno pensa che le due anime, innie e outie, verranno valutate separatamente al momento del Giudizio Universale.
L'atmosfera perturbante (di cui il doppio è un'espressione classica), così ben definita dalla prima stagione di Scissione, nella seconda diventa paradossalmente anche familiare: un ulteriore sdoppiamento, tanto impossibile quanto quello a cui sono soggetti i dipendenti scissi, ma che il racconto riesce a farci accettare sospendendo l'incredulità e rendendo poco significative le (mille) obiezioni di plausibilità che si potrebbero muovere alla situazione, anche se in questi nuovi episodi alcune criticità della scissione vengono esposte, manomettendo un po' il rigore raggelante del concept originario.
Mettere insieme perturbante e familiare: quello che era riuscito alla saga di Fantozzi (un altro impiegato di megaditta che vedeva a stento la luce del sole e le cui mansioni non abbiamo mai davvero compreso) attraverso la cifra comica, Scissione lo ottiene portando alla luce il rimosso, facendolo interagire a sorpresa con la parte "conscia" senza però rompere l'equilibrio precario su cui camminano i protagonisti scissi. Quando Mark S. torna a sedersi nel suo cubicolo a catturare numeri misteriosi sullo schermo luminescente, si ha l'impressione che, oltre a essere inquietante, l'intera situazione abbia anche senso, sia anche giustificata, pur nell'apparente impossibilità di conoscere questo senso e questa giustificazione.