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Savage Grace
L'educazione sentimentale di una famiglia aristocratica, potente e invidiata, ma solo di riflesso, come la vita dei tre protagonisti del film, madre, padre e figlio. Lei è Julianne Moore, ex aspirante attrice ora bella ed eccentrica moglie di Stephane Dillane, rampollo dei re della bakelite, i Beakaland. Il loro bambino è Eddie Redmayne (l'unico in parte), fragile e sensibile risultato di due complessi di inferiorità, quello di una parvenu patetica alla costante scalata del gotha della società bene, sempre inadeguata tra recite e trasgressioni, e quello di chi c'è già, ma solo per "eredità" comprata. Il figlio desidererebbe solo dei genitori, ma loro sono troppo impegnati a rimorchiare uomini e ragazze di cui lui si innamora (dal ganimede Hugh Dancy alla splendida Elena Anaya). Tom Kalin, di solito bravo ad addentrarsi nelle pieghe più morbose della vita, qui si spinge in un irritante esercizio di stile in cui plagio, incesto, omosessualità diventano pretesti per colpire (est)eticamente lo spettatore fino al finale tragico che vede addirittura un tentativo materno estremo di recuperare il figlio all'eterosessualità, emblema di un film che vorrebbe scandalizzare e disorientare, ma risulta solo imbarazzante. La mamma (non) è sempre la mamma.