I geni, i maestri, il cinema. Luca Guadagnino racconta Salvatore Ferragamo. Basterebbe la premessa per illuminare un progetto di grande fascino. Lo sguardo di Guadagnino è quello di un regista colto, cinefilo, dallo spirito poliedrico, come ci hanno mostrato i suoi film. Dal melò all’horror, passando per il documentario, aspettando il gangster movie, il remake Scarface. Il suo è un talento tempestoso, caratterizzato da una competenza indiscutibile.

Salvatore – Shoemaker of Dreams è un documento rispettoso, accorato, che non si limita a soffermarsi su una delle personalità più interessanti della moda italiana. Guadagnino costruisce un ritmo ricercato, restituisce le suggestioni di una vita on the road, e trasforma gli occhi di Ferragamo nella sua macchina da presa. Il modo in cui lui analizza una calzatura, è lo stesso con cui il cineasta osserva la sua creazione.

L’idea è quella di far rivivere un mondo che non c’è più, ma di cui si continua a raccogliere l’eredità. Si parla di calzature, ma è anche un atto d’amore per il grande schermo. Guadagnino si accosta con passione a De Mille, a Griffith, con filmati di repertorio e testimonianze uniche, come quella di Scorsese. Ferragamo è stato il “Calzolaio delle stelle”, lavorò negli Stati Uniti per tredici anni prima di spostarsi a Firenze. Le parole tratte dalla sua autobiografia (lette da Michael Stuhlbarg) accompagnano lo spettatore, in quella che è stata un’esistenza avventurosa oltre che ispirata.

 

Ma Salvatore – Shoemaker of Dreams è anche la vicenda di una donna forte, elemento sempre molto caro a Guadagnino. Ferragamo è morto nel 1960, e a trovarsi a capo dell’azienda è stata la moglie Wanda, che a trentanove anni ha dovuto prendere le redini dell’impresa. Oggi è uno dei marchi più importanti a livello mondiale nel settore. Salvatore – Shoemaker of Dreams mostra una questione identitaria, è una riflessione sulla nostra cultura, sull’evoluzione delle immagini, su come i sensi influiscano sulla visione della realtà.

Per capire meglio il film, sono interessanti le parole dello sceneggiatore David Kajganich (A Bigger Splash, Suspiria), che sentiamo nel cortometraggio (sempre di Guadagnino) Fiori, fiori, fiori!  Riferendosi alla pandemia, Kajganich utilizza la metafora della foresta. Periodicamente deve bruciare per restare sana. Da una parte la distruzione, dall’altra l’inizio di un nuovo ciclo. È quello che è successo alla famiglia Ferragamo, all’industria di Hollywood. Ed è proprio qui che Guadagnino coglie l’elemento umano, e lo rende armonia attraverso il cinema.