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Dopo il non esaltante I fantasmi d’Ismaele (2017), il sempre interessante Arnaud Desplechin cambia sostanza e (ri)trova gusto con Roubaix, une lumière, polar eterodosso in Concorso a Cannes 72.
Interpretato con empatia e assertività da Roschdy Zem, l’ispettore capo Daoud indaga sulla città dove è arrivato dal Maghreb a 7 anni, ha studiato e s’è fatto uomo, e pure saggio: auto incendiate a scopo assicurazione, rapine in panetteria da venti euro e… anziane strangolate a letto. La meta della classica di ciclismo è territorio accidentato della morale: miserie e nefandezze, modelli multiculturali alle corde e “spazzatura bianca”, quale sono Claude (Léa Seidoux) e la compagna Marie, alcolizzate, marginali e forse qualcosa ancora.
Ispirato, confessa il regista e sceneggiatore francese, a Il ladro di Hitchcock e calato in atmosfere, colpe e tare che abbiamo ravvisato e apprezzato in George Simenon, l’adesione al crime non è materia di genere, ma espressione di uno stato d’animo: perché i delitti, e come le colpe?
Daoud è appassionato di cavalli, ma non vi scommette, lo fa il nuovo arrivato, l’arrovellato e gentile Louis Coterelle, ma un’altra scommessa, quella pascaliana, sembra della partita: eticamente determinato, minuziosamente scritto – a parte i monologhi in voce over della matricola Louis - e psicologicamente declinato, Roubaix, une lumière (Oh Mercy titolo internazionale) è troppo “signore”, elegante e sommesso per non correre il rischio della sottovalutazione.
Male sarebbe, perché è film intelligente, non eclatante, ma sottile – anche meta-cinematografico, sulla messa in scena… - e financo prezioso: come attesta l’ultimo fermo-immagine, dai blocchi, cavalli e umani che siano, si esce tutti insieme, già, e poi che succede?