PHOTO
Nicholas Galitzine e Taylor Zakhar Perez in Rosso, bianco & sangue blu © Amazon Content Services LLC
Il nocciolo è quello di una favola che non avrebbe stonato nel cinema classico: l’impossibile storia d’amore tra due esponenti delle élite, l’una politica (la Casa Bianca) e l’altra nobiliare (la casa reale inglese), rampolli che vivono all’ombra dei rispettivi capi, teste di serie dei rotocalchi internazionali. A cambiare, invece, è la polpa. E non solo perché i due amanti sono maschi, l’uno, Alex Claremont-Diaz, figlio ispanico-texano della presidente degli Stati Uniti e l’altro, Henry (più una mezza dozzina di altri nomi), fratello dell’erede al trono britannico, prima ostili e poi travolti dalla passione. Ma anche perché non c’è alcun conflitto tra le parti: la realpolitik impone diplomazia (i due paesi hanno appena stipulato un faticoso e fantomatico “accordo commerciale”), l’incidente che dà il via al film (una torta nuziale cade sui due giovanotti, troppo intenti a litigare per accorgersi del disastro) è un pretesto rosa per ristabilire i buoni rapporti e innescare la love story, la relazione clandestina è un problema politico più di facciata che di sostanza.
Hit di Prime Video, tratto da un fortunato romanzo di Casey McQuiston, Rosso, bianco & sangue blu (i colori di entrambe le bandiere) recupera il modello della fantasia romantica nell’altissima società, accennando a qualche conflittino-ino-ino di classe (il figlio della presidente è un meticcio cresciuto con sensibilità socialista da due genitori partiti dal basso) e svelando i retroscena delle responsabilità (il principino segretamente omosessuale cerca di emanciparsi dalla sua immagine pubblica di sciupafemmine e dai vincoli imposti dalla tradizione).
In nome della sua vocazione d’intrattenimento leggero anzi leggerissimo, Rosso, bianco & sangue blu si lascia sfogliare come una rivista patinata – anzi: un feed di Instagram, tra smorfie pronte a farsi meme e frame da estrapolare per fomentare il bromance – riducendo il contesto a mera scenografia di lusso, cornice talmente sontuosa da risultare svuotata come in un Harmony per il pubblico teen. Tant’è che, tutto sommato, il vero ostacolo non è interno alle famiglie (la presidente Uma Thurman piega l’occasione a proprio favore, il nonno re Stephen Fry ci impiega circa due minuti a passare dalla reprimenda all’accettazione sull’onda dell’entusiasmo popolare nonostante l’ostilità dell’erede al trono) ma arriva dall’esterno, cioè i media cattivi che mettono il naso nel privato dei personaggi pubblici per triangolare la necessità dello scoop, l’ingerenza nelle elezioni e il regolamento dei conti (il reporter messicano invaghito di Alex).
Ma forse il vero problema di questa super-romcom, disimpegnata e rilassante quanto basta, ha a che fare con le regole del genere, compreso il desiderio di regalare momenti destinati a restare impressi (la visita amorosa al Victoria and Albert Museum): la chimica tra i protagonisti, pur edulcorata nel côté erotico, deve adeguarsi al passo pigro di una regia senza troppo ritmo e la dilatazione narrativa si scontra con la frettolosità di certi passaggi teoricamente più succosi (quelli politici, senza spoiler). E se una commedia romantica si muove così lentamente, al di là delle risonanze social di un film che sa comunque dialogare con il suo pubblico, un problemino c’è.