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Se dall’anno scorso, gli anni dispari ci regaleranno la nuova trilogia di Star Wars, la novità in casa LucasFilm/Disney è che da quest’anno gli anni pari saranno dedicati a 3 spin-off della saga, ovvero film indipendenti dalla saga ma legati da un personaggio o da un universo condiviso. Rogue One, diretto da Gareth Edwards e per buona parte rigirato e rimontato da Tony Gilroy, è il primo di questi spin-off che a tratti pare di più un rip-off (in parole povere una brutta copia).
Il film racconta di Jyn, figlia di uno scienziato che lavora forzatamente per l’Impero alla costruzione della Morte Nera. Abbandonata da piccola e allevata da un estremista dei ribelli, Jyn si trova coinvolta nella lotta tra l’Alleanza e l’Impero quando il padre le consegna un messaggio: ha messo un punto debole dentro la Morte Nera e i piani vanno rubati e consegnati all’Alleanza. Scritto da Chris Weitz e Gilroy, Rogue One è una space opera che allo spirito di avventura fantasy degli originali avvicina e poi sostituisce un impianto da film bellico d’aviazione (passione di Lucas, come ha dimostrato in tempi recenti Red Tails), ma che di quegli originali non può fare a meno.
E’ ambientato infatti prima di Una nuova speranza (il cosiddetto episodio IV) e al primo film di Guerre stellari si ricollega per look visivo - a volte reso mimeticamente dalla fotografia di Greig Fraser -, ambienti, costumi, scenografie e trovate tecnologiche che a 40 anni di distanza odorano consapevolmente di steampunk. Se però J. J. Abrams in Il risveglio della forza (episodio VII) prendeva lo scheletro di quel film datato 1977 e lo reinventava con occhi contemporanei e nostalgici, rinnovando la mitologia e adattandola al nuovo pubblico, Edwards si trova a contatto con i simulacri veri e propri di quell’immaginario, ne riprende gli elementi in modo elementare e diretto costringendo lo spettatore a fare i conti un universo parallelo di seconda mano, a cui manca la forza (anche con la F maiuscola, volendo), il carisma (il Cassian di Diego Luna fallisce come nuovo Han Solo), la forza mitica che le tre brevi apparizioni di Darth Vader non possono certo fornire da sole: a partire dalla maldestra musica di Michael Giacchino (ha sostituito Alexandre Desplat) che rimastica i vecchi temi cercando di farli sembrare nuovi ad attori che sembrano pallide riproposizioni di stereotipi ben più gloriosi (Forest Whitaker in una delle peggiori prove della carriera, Felicity Jones di un’algidità difficile da amare), Rogue One sconta una regia incerta nei toni e nel respiro, che a un’ineccepibile veste grafica non fa corrispondere un’adeguata consistenza filmica.
Dalla sua parte, il film ha un crescendo discretamente costruito che porta a un bel finale, con una lunga sequenza di battaglia spettacolare e ben realizzata in cui si riscrive addirittura lo sbarco in Normandia (o a Dunkirk, per stare in linea con l’attualità cinematografica) e un finale cupo abbastanza inaspettato. Elementi che fanno lasciare la sala soddisfatti e contenti, come un buon dessert che dopo una cena non all’altezza fa alzare da tavola con la bocca buona. Ma che non fanno venire troppa voglia di tornare di nuovo a sedersi in quel ristorante, una volta ogni due anni, quelli pari.