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Ritratto di un certo Oriente - @Kavac Film
Forse aveva ragione T. S. Eliot quando scriveva che “il viaggio, non la meta, è ciò che conta”. Jack Kerouac avrebbe adottato questa filosofia per realizzare un testo che ha fatto scuola, Sulla strada. A sposare questo pensiero negli ultimi anni è stato anche il regista brasiliano Marcel Gomes. Il bellissimo Cinema, Aspirins and Vultures (da recuperare) raccontava di un venditore di “aspirine” che era sempre on the road nel nord del Brasile. E ancora: il suo manifesto cinematografico, a quattro mani con Karim Aïnouz, è stato I Travel Because I have to, I Come Back Because I Love You. La chiave è già nel titolo: non ci si può sottrarre allo spostamento, l’unico modo per sopravvivere è aggrapparsi ai sentimenti. Ne è la prova il suo ultimo film Ritratto di un certo Oriente, dove tra i produttori figura anche Kavac di Gattoni e Bellocchio.
Siamo negli anni Quaranta, proprio come in Cinema, Aspirins and Vultures. Emir corre a prendere sua sorella per poi scappare insieme dal Libano. Ormai i genitori non ci sono più, vogliono fuggire dalla guerra. E salpano per il Brasile. Lui si imbarca da clandestino per non pagare il biglietto, quindi non può abbandonare la cabina. Lei, intanto, a bordo si innamora dell’uomo sbagliato: un musulmano, lontano dalla fede cristiana che contraddistingue le sue origini.
Lo scontro è tra credo diversi, e ancora una volta il passato si immerge nel presente. Gomes conosce l’attualità, porta in scena le tragedie dell’oggi, invoca una pace che sembra impossibile. Almeno nel buio di una sala prova a trovare una soluzione. Attraverso la macchina da presa propone una comunione tra uomo e natura, un dialogo tra gli elementi. L’acqua rappresenta la purezza, ma è anche specchio dei tormenti dei protagonisti. La foresta alimenta la passione, si fa culla di una nuova vita.
L’uso del bianco e nero crea un gioco di luci mai scontato, in cui viene raccontata una storia senza tempo. Gomes aggiunge un nuovo tassello alla sua poetica del viaggio. Oltre alla traversata oceanica, questa volta si fa centrale anche il punto di arrivo. La necessità è di ricominciare, di rifondare una società votata alla lotta per una nuova esistenza.
A implodere è la famiglia, schiacciata dalle imposizioni e dalla violenza di un mondo in cui si fa fatica a riconoscersi, ma che purtroppo ci appartiene. Già dal titolo il regista indica una parzialità. È il ritratto di un certo Oriente. Questo perché è compito dello spettatore ritrarre l’altra parte, quella in ombra, che deve venire alla luce. La regia si fa rigorosa: non si sofferma sull’artificio, ma cerca di cogliere la verità di ogni immagine. E nel silenzio scopre una salvezza inaspettata.