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Ricky
Di tutto si può accusare François Ozon tranne che di mancanza di originalità. L'ex promessa del nuovo cinema francese questa volta sceglie il realismo magico e imbastisce Ricky, favola inerpicata sul dramma sociale, a tratti commedia fantascientifica, ad altri tenero divertissement per famiglie. Di certo metafora dell'approccio - e accettazione - con il diverso, per natura o volontà. Ricky è il nome di un bebé che – nato dalla relazione tra Katie (Alexandra Lamy) e Paco (Sergi Lopez) - sviluppa dopo pochi mesi di vita caratteristiche "non umane", sconvolgendo a dir poco gli equilibri di mamma e sorellina Lisa di 7 anni (prodigiosa Melusine Mayance), mentre papà Paco si prende un periodo di distanza dalle routine familiari. Film discontinuo, inizialmente con toni dardenniani per sfociare nel surrealismo-horror simil Cronenberg, (ma anche Lynch o Terry Gilliam) Ricky appare più come l'occasione mancata di una bella idea, peraltro non originale perché tratta dal racconto della britannica Rose Tramain. L'anti-Elephant Man versione baby col pannolone sorvola ma non coglie le possibilità di penetrare emozioni e riflessioni negli spettatori, che si limitano a (sor)ridere, talvolta commuoversi, di certo stupirsi un pò. Che è già qualcosa.