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Ricchi a tutti i costi
La cosa più interessante di Ricchi a tutti i costi, sequel di quel fortunato Natale a tutti costi che fu una specie di “cinepandoro” di Netflix (stavolta è un “cinemelone”, complice la location esotica di Minorca), è l’utilizzo dei due protagonisti e non solo perché tra Christian De Sica e Angela Finocchiaro – due commedianti della stessa generazione che provengono da esperienze molto diverse, a tratti quasi parallele – c’è un dolce affiatamento (è la loro sesta collaborazione in un decennio).
D’accordo, De Sica ricorre al consueto e irresistibile repertorio “volgare”, ben consapevole di quanto quel catalogo di battute, espressioni, cliché costituisca il suo capitale oltre che una comfort zone. Eppure, a differenza di altri suoi colleghi di ieri come oggi, questo grande attore (tra i migliori in attività, ricordiamolo sempre) ha capito che il tempo passa e che le maschere devono tenere conto dell’anagrafe: così, tra una smorfia e un lazzo, mette la sordina all’istrionismo, fa affiorare una timida malinconia, lascia spazio agli altri, rinuncia a quella dimensione “eroticomica” che ha sempre contraddistinto il suo personaggio più consueto in favore di una misura borghese che lo mette accanto a certi attori d’oltralpe.
Un riposizionamento che permette a Finocchiaro di far emergere quella follia che aleggia sempre – e che non tutti hanno saputo valorizzare – nel suo sguardo stralunato da antica sperimentatrice (all’origine c’è sempre la lezione del mimo), a maggior ragione qui che deve dar vita a una borghese travolta dagli eventi, che si reiventa sgangherata signora omicidi (legge Sono un’assassina? di Agatha Christie) dando credibilità a una deriva fuori dalle righe (il finale è tutto suo).
L’occasione del sequel è coerente con il finale del precedente e a suo modo serenamente estemporanea: per impedire che la nonna, che a 87 anni ha ereditato 6 milioni da una zia (Fioretta Mari, gigiona d’alta scuola), si sposi con un ex fidanzato di Finocchiaro, un viscido avventuriero criminale che ambisce solo ai soldi della vecchia (Ninni Bruschetta, divertente), la famiglia decide di pianificare l’assassinio del promesso sposo.
Le intenzioni di Ricchi a tutti i costi, quarta regia di Giovanni Bognetti, tendono alla commedia nera, al macabro dei vecchi merletti (l’arsenico è esplicitamente citato, ma come arma del delitto viene eletta la pianta dell’aconito), alla farsa sopra le righe (i comprimari spagnoli e il macchiettone di Darko Perić, l’Helsinki della Casa di carta): peccato che il gioco al rialzo finisca per cedere il passo a un passo non sempre esaltante, con l’asciuttezza (90 minuti è una durata aurea) che qua e là costeggia la fiacchezza, e che il racconto dei giovani sia un po’ sacrificato (interessante l’inquietudine con cui Dharma Mangia Woods e Claudio Colica danno voce a una generazione spaesata), ma come commedia commerciale fa il suo lavoro.