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Revolutionary Road
Può la normalità essere speciale? Che succede a una coppia normale, drammaticamente normale, quando si intende speciale?
E' denso di questi interrogativi esistenziali il quarto film di Sam Mendes, Revolutionary Road, dal romanzo omonimo di Richard Yates (riedito da minimum fax), con protagonista 10 anni dopo la coppia di Titanic: Leonardo Di Caprio e Kate Winslet (moglie del regista).
States anni '50, April (Winslet) e Frank (Di Caprio) si piacciono, sposano e considerano diversi, ideali, destinati a un grande futuro. Ma è una prospettiva suicida, che sacrifica il qui e ora quale necessaria premessa della gloria che sarà. Belli, simpatici, anticonformisti, ma questi - supposti - tratti dissonanti vengono scarificati dalla routine, il loro modellino eroso a immagine e somiglianza del Modello tanto disprezzato. Prendono casa in Revolutionary Road (sic), periferia urbana e presto esistenziale: Frank fa avanti e indietro da Manhattan, impiegato apatico e senza più velleità; April fa la casalinga, la madre, si spegne e sogna la passione. E' lei a cercare il rimedio: la fuga dal Connecticut per la Parigi dell'utopia, dove lei potrebbe lavorare e Frank pensare che fare da grande. Ma la Tour Eiffel rimarrà cartolina: Frank seduce una poveretta, trova una promozione, traccheggia; April aspetta invano quella promessa di felicità, e un bambino.
Accanto a loro, una coppia coetanea (David Harbour e Kathryn Hahn) di ristrettissimi orizzonti, progressivamente più vicini, l'ingombrante Kathy Bathes, e, sul lato opposto, il figlio di quest'ultima, afflitto da problemi psichiatrici (Michael Shannon, magnetico), a tal punto da essere l'unico a dire ad April e Frank la (loro) triste verità.
Conformismo, ipocrisia, sessismo: l'America anni '50, e successivi, che ha perso il suo sogno viene inquadrata su scala da Mendes, con un ottimo materiale di partenza, il romanzo di Yates, che il regista di American Beauty traduce con grande potenza visiva (eccellente fotografia di Roger Deakins, non è una novità), splendidi interpreti (meglio Di Caprio della Winslet, ma entrambi sotto Shannon), rigorosa ricostruzione (scenografie di Kristi Zea) e un limite: il romanzo stesso. Non che il film ne faccia cattivo uso, ma una inevitabile (?) riduzione: la tensione simbolica della coppia protagonista, derivante da un trattamento lucidamente induttivo, perde in definizione sullo schermo, che si concede scorciatoie (ben più importante la scappatella di Frank, e decisamente più sexy la sua "preda" cartacea) e delega agli attori, chiamati a riempire con surplus scenico - a tratti enfatico - gli omissis nell'introspezione.
Rimane un colpo di genio, ad alto voltaggio simbolico: una pozza di sangue e uno sguardo perso dietro al futuro.