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Rembrandt's J'accuse
Trenta misteri più uno. Questa in estrema sintesi la struttura promessa dal maestro della provocazione Peter Greenaway nell'avvio del suo ultimo Rembrandt's J'accuse, film-saggio che torna ad analizzare il celebre quadro "La ronda di notte" ad appena un anno di distanza dal precedente Nightwatching, presentato a Venezia 64, che sulle vicende attorno al dipinto costruiva una vivace e arguta messinscena in costume. Un film importante, un arditissimo documentario che impiastriccia la tela dello schermo cinematografico mescolando, accostando, intarsiando materiali visivi (e sonori) tra i più disparati, animando il celebre dipinto del pittore fiammingo, ritagliando stampe, schizzi, fotografie fino alla ricontestualizzazione di brani tratti proprio da Nightwatching all'interno d'una serrata e affilatissima indagine degna della miglior tradizione della crime story. Un film di montaggio si potrebbe dunque dire, un film che tematizza la modernità (o la post-modernità) dell'accostamento paradossale, della manipolazione degli archivi, della riscrittura di materiali preesistenti contemperando la più raffinata riflessione estetica con la più efficiente narrazione d'intrattenimento, dentro un testo audiovisivo di perfezione fin troppo nitida, d'efficienza spettacolare d'inevitabile (?) discendenza televisiva. Il cinema - sembra dirci Greenaway - è nato agli inizi del XVII secolo, con l'affinamento delle tecniche di costruzione degli specchi e con l'introduzione sul mercato di candele più economiche: il riflesso e la luce. Greenaway gioca sui due fronti della ricostruzione storico-biografica - la rovina del pittore in seguito alla sua ferma e ardita denuncia dei potenti di Amsterdam attraverso la trama sottile del suo quadro - e del raffinato saggio estetico. Rembrandt - detective, testimone e giudice del delitto al centro del dipinto - fu allora vittima designata del suo attacco al potere, fin troppo evidente agli occhi esperti dei lettori d'immagini di quattro secoli fa; ma quanti dei moderni lettori di parole sarebbero in grado di scoprire oggi i misteri celati nei volumi e nelle forme descritti dalla luce scaturita dal pennello di uno dei più grandi artefici d'immagini di tutti i tempi?