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Rapiniamo il Duce, ovvero Robbing Mussolini. In realtà, il Duce non c’è, tocca accontentarsi di tal Borsalino (Filippo Timi), gerarca fascista in quel di Milano. La cosa più divertente è il nome del compound, Zona nera anziché rossa, in cui sotto il Duomo si cela il tesoro di Mussolini, in procinto di essere trasferito con egli stesso in Svizzera.
Rapiniamo il Duce è un film Netflix prodotto da Bibi Film, in arrivo sulla piattaforma il 26 ottobre, dopo l’anteprima alla XVII Festa del Cinema di Roma.
Diretto da Renato De Maria, che scrive a sei mani con Federico Gnesini e Valentina Strada, nel cast ci sono Pietro Castellitto, Matilda De Angelis, Tommaso Ragno, Isabella Ferrari, Alberto Astorri, insieme a Maccio Capatonda, Luigi Fedele, Coco Rebecca Edogamhe, Maurizio Lombardi, Lorenzo De Moor, Luca Lo Destro e appunto Filippo Timi.
Milano, nell’aprile del 1945, sgoccioli bellici e macerie urbane, la sopravvivenza è imperativo morale, e la fa proprio Isola (Castellitto), re del mercato nero, con una fidanzata clandestina, Yvonne (De Angelis), cantante al Cabiria e legata a Borsalino. Isola, assistito da un amico (Ragno) del padre scomparso e una piccola corte dei miracoli, progetta un colpo folle, un’impresa scellerata: rapinare il Duce.
Il film, De Maria ha tecnica e gusto, non è girato male, molto svelto, molto pop, molto (gg)giovane, l’algoritmo si sente piuttosto nella sceneggiatura, tanto derivativa da Romanzo criminale ai Marvel (de ‘noantri) e Freaks Out, quanto lacunosa, zeppa di secche drammaturgiche e giri a vuoto: è quel che chiede Netflix? Forse no, però c’è questa irresolutezza, e non fa bene nemmeno a questo intenzionale divertissement storico a indirizzo giovanile.
Di certo Netflix predica l’inclusione, e dunque nella banda Isola, che partigiana non è, ma si troverà a essere, spunta una bandita, una combattente di colore, Coco Rebecca Edogamhe, così siamo tutti più sollevati.
Castellitto ha i giri giusti, De Angelis canta e piange e canta, Ragno fa il suo e il premiato pilota cocainomane Capatonda pure, Timi cincischia con stile, il problema non è negli attori, ma nel bignamino, per orizzonti e destinazione.
È questo che vuole il servizio streaming dal nostro Paese, è questo che il nostro Paese vuole da Netflix? Cotto e mangiato, un tanto al chilo – ma non economico: è in costume, ci sono gli effetti, il cast, costa abbastanza caro – e pastorizzato: va bene togliere a Mussolini, ma quando ridiamo al cinema?