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Rams
Islanda: i fratelli Gummi e Kiddi (Sigurjónsson e Júlíusson, teneri e magnifici), isolati in una vallata a pochi metri di distanza l'uno dall'altro, condividono la medesima passione, l'allevamento di pecore e montoni, pur non rivolgendosi da anni la parola. La loro è un'attività premiata e fiorente, fino al giorno in cui un'epidemia di scrapie (la "mucca pazza" degli ovini) infetta i loro greggi. Le regole delle autorità sono chiare: le pecore vanno abbattute. Ma i due fratelli, che alle pecore hanno dedicato la loro vita a scapito della propria (e del loro reciproco rapporto), hanno altre idee...
Il secondo film di Grímur Hákonarson (dopo Summerland del 2011), vincitore della sezione Un Certain Régard all'ultimo festival di Cannes, impiega poco a rubare il cuore. Rischia di non ricevere le attenzioni che merita, ma sottovalutarlo sarebbe un errore: a stupire (probabilmente anche la giuria presieduta da Isabella Rossellini, che ha preferito Rams a concorrenti del calibro di Naomi Kawase e Brillante Mendoza) è la straordinaria leggerezza nell'evocare ineluttabilità e morte oltre i confini del diegetico. Ciò che sembra una commedia resa appena più sofisticata dal setting e dai suoi burberi protagonisti, diventa gradualmente un dramma familiare a tutto tondo, dove il quotidiano, armonico conflitto contro l'ostilità della natura circostante lascia il posto a quello ben più impari (e pertanto destinato alla sconfitta) contro una società ferrea, insensibile a compassione e ripensamenti.
Seguendo con coerenza unica questo percorso dalla commedia al dramma, il film non si rifugia nel facile sentimentalismo (la tensione tra Gummi e Kiddi si scioglie nel modo più naturale possibile), approdando tra lampi di umorismo straniante a un finale assolutamente tragico, che se può spiazzare per l'improvviso cambio di registro, dall'altro si conferma unico epilogo possibile per due "ribelli" che non hanno mai smesso di opporsi all'uomo e alla natura. Decidendo, da eroi, per mano di chi soccombere.