Sergio Stivaletti ci riprova. Dopo M.D.C – Maschera di cera (1997) e I tre volti del terrore (2004), il celebre direttore degli effetti visivi torna dietro la macchina da presa per la sua opera terza da regista.

Per farlo, prende spunto (anche lui come Matteo Garrone per Dogman) dalla nota ed efferata vicenda del Canaro della Magliana. Ma anche in questo caso cambiano i nomi, le situazioni, il contesto temporale (siamo ai giorni nostri): l’unica vero protagonista rimane la brutalità dell’essere umano, insita in chi sceglie di essere carnefice e, progressivamente, capace di esplodere anche nelle figure sottomesse. Ruoli che possono inaspettatamente ribaltarsi.

La storia è quella di Fabio (Riccardo De Filippis), che dopo otto mesi esce di galera e tenta di tornare alla normalità riaprendo la sua attività di tolettatore per cani. Ma l’ambigua amicizia con Claudio (Virgilio Olivari), un'ex pugile, fatta di prepotenze e umiliazioni, lo porterà ad un crescendo di odio e rancore nei suoi confronti.

Rabbia furiosa contiene già nel titolo il suo sviluppo: a Stivaletti interessano poco le sfumature, e si gioca tutto sull’escalation di soprusi da parte dell’ex pugile, che passa le giornate a terrorizzare la gente del quartiere (siamo al Mandrione, a Roma), obbligando i negozianti a pagare il pizzo e vessando in continuazione il povero Fabio (che si è fatto la galera al suo posto), arrivando persino a stuprare la moglie (Romina Mondello) davanti ai suoi occhi.

 

Com’era lecito aspettarsi, poi, il regista dà il meglio di sé nel momento clou del film, quello dove rimette in scena – seguendo per filo e per segno la deposizione del vero Canaro (Pietro De Negri) – la macabra tortura che venne inflitta a Gianluca Ricci, senza risparmiare nessun dettaglio, dall’amputazione delle dita all’evirazione fino al famoso “lavaggio del cervello con lo shampoo per cani”.

È l’unica sequenza davvero horror (a parte una decapitazione) di un film che invece cerca di mantenersi in bilico tra il fantasy e il thriller, eccedendo forse troppo nella durata e nell’intreccio un po’ forzato relativo alla storia parallela di combattimenti clandestini per cani e dell’arrivo su piazza di questa nuova, misteriosa droga sintetica.

 

Una versione della vicenda decisamente più macabra e smaccata rispetto al Dogman di Garrone, ma allo stesso tempo capace di lasciarsi vedere, disturbante al punto giusto, imperfetta ma godibile. Ammesso che quest’ultimo possa essere il termine più adatto per una visione del genere.