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L'attrice Angela Baraldi
L'investigatrice privata Giorgia Cantini (Angela Baraldi) è bolognese, quarantenne, single, con un passato da musicista. Le vhs nelle quali la sorella Ada (Claudia Zanella), morta suicida sedici anni prima, si confidava a un amico costituiscono il punto di partenza del viaggio di Giorgia tra i ricordi e i segreti della sua famiglia, dominata dal padre, il capitano Contini (Luigi Maria Burruano). Questa indagine auto-referenziale si rivela oscura, piovosa e sorda come la Bologna che accoglie le bevute notturne della donna, i fugaci incontri con il commissario Bruni (Andrea Renzi) e i rendez-vous passionali con il professore del DAMS Andrea Berti (Gigio Alberti). Dall'omonimo romanzo di Grazia Verasani, Gabriele Salvatores porta sullo schermo un thriller femminile incollato al volto intenso, sofferto e trasparente di Angela Baraldi. Il fascino del film è in primis stilistico: la fotografia in HD di Italo Petriccione è di grande suggestione e plasma ex-novo il capoluogo emiliano, rasentando calligraficamente i suoi portici e proiettando sullo schermo ombre di langhiana memoria. Non a caso, un'opera del cineasta tedesco, M, il mostro di Dusseldorf, viene fagocitata da Quo Vadis, Baby? insieme a Ultimo tango a Parigi - da cui proviene il titolo del film di Salvatores - e a una miriade di rimandi (anche alla RdC che compare in un doppio cameo), citazioni e locandine. Il rischio - per parafrasare Blowup che compare in poster - è quello dell'esplosione della materia di Quo Vadis, Baby? nella direzione di una cinefilia fine a se stessa e in definitiva asfittica. Ma Salvatores, pur tenendo alto il livello di autostima, si arresta prima di cadere nel baratro del solipsismo, e lo fa valorizzando un cast in gran forma di cui utilizza volti e gesti per marcare un territorio esistenziale, materico e corporale. Insomma, la domanda del titolo ha una risposta senza balbettii e tentennamenti: Salvatores sa come muovere la camera e dove portare i suoi personaggi, accomunati da una infelicità infida e pervasiva. Il presente - anche metacinematograficamente - conserva sempre l'eco dolente del passato.