Zerocalcare, dalla stessa parte lo troverai: il personale è politico, l’ambizione si riflette nella complessità, la malinconia piomba come un macigno. Non tutto torna ma c’è un’autonomia dello sguardo che ha pochi eguali. Sei episodi, su Netflix
“Siamo in un Paese meraviglioso”, canta Giancane sui titoli di testa di Questo mondo non mi renderà cattivo, seconda sortita di Zerocalcare nei territori di Netflix. Che non nasconde le maggiori ambizioni rispetto alla prima serie del fumettista più influente d’Italia, la splendida
Strappare lungo i bordi: dallo spaccato generazionale che, all’altezza di una ricognizione sentimentale, riusciva a spiazzare con battute irresistibili per squarciarti il cuore un attimo dopo, passiamo a un racconto più ampio e complesso, in cui lo statuto dell’autore triangola maggiormente con la sua immagine pubblica, militante e politica.
D’altronde è proprio quella sigla iniziale a definire l’orizzonte di una nazione in cui i ponti crollano, le navi affondano, i diritti muoiono e i ministri applaudono.
Se c’è un merito cristallino nello sguardo di Zerocalcare è proprio questo stare dalla stessa parte, farsi trovare “al nostro posto” come direbbe Piero Calamandrei. Dalla parte di coloro che sono rimossi dalla narrazione ufficiale perché urticanti e scomodi: le periferie dimenticate dal centro (sia lo Stato come il comune ma anche, in generale, il capitalismo), gli immigrati strumentalizzati e ridotti a merce di scontro, i dimenticati dal sistema che cercano in tutti i modi di galleggiare in un mondo che, titolo docet, fa di tutto per renderci cattivi (compresi gli insospettabili come l’idealista Sarah, troppo disincantata per avere fiducia nel futuro).
Meno lineare e più articolata rispetto al debutto seriale, con un soggetto originale che è in continuità con l’opera ma si sforza di cercare un linguaggio audiovisivo più autonomo e svincolato dai graphic novel, la serie segue Zero nel percorso di riavvicinamento (dapprima coatto) a Cesare, un vecchio amico che torna nel quartiere (l’immaginario Tor Sta Ceppa) dopo anni di assenza. Ha avuto problemi, fatica a ricollocarsi, cerca apparentemente una sponda in Zero che tuttavia non sa come aiutarlo. Ma laddove viene a mancare una rete di sostegno ecco che il soccorso arriva dai (spoiler) nazisti, cioè i fascisti (ma, essendo ormai legittimati in questo “Paese meraviglioso”, l’autore decide di trasformarli in “nazisti”, definizione certo più inquietante).
Il personale è politico, dal conflitto tra due che si sono voluti bene ma non hanno più niente in comune (forse) si passa allo scontro totale tra le due parti, mentre la politica (facile riconoscere i vari partiti nella seduta del consiglio municipale) fa spallucce e pensa a tornaconti elettorali.
Orgogliosamente coerente e divisiva (
le polemiche arriveranno per il lessico), autoriflessiva e autoironica (gioca sul rancore legato alle polemiche sul romanesco), molto curata sul piano visivo con gustosi inside joke (da Don Matteo a Sailor Moon) e precisa nel doppiaggio (Zerocalcare è l’unico a saper dare voce al suo universo, ma torna l’Armadillo caustico e moralista di Valerio Mastandrea e si segnala un travolgente cameo di Silvio Orlando: “Non è più la primavera dell’omertà: è l’inverno del narcisismo”), con una malinconia che piomba come un macigno nella consueta e spassosa commedia umana, la serie non trova sempre la compattezza voluta, talvolta soffre il respiro lungo, accumula molto, non si focalizza subito sul tema. Ma la chiusura crepuscolare è commovente.