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Questione di punti di vista
Una carezza. E' quella regalata da Questione di punti di vista del maestro francese Jacques Rivette, 81 anni suonati e tanta leggerezza ancora da dare al cinema e alla vita. Il suo ultimo film rifugge veli e metafore, decostruisce il set, alza il tendone sulle faccende dell'arte. Parla di sé Rivette e del suo cammino di cineasta. A iniziare dai suoi attori: Jane Birkin, modello di rappresentazione di tutte le sue eroine (con lui ha già lavorato in L'amore in pezzi e La bella scontrosa), qui nei panni di una funambola che torna dopo 15 anni alla vita del circo e ai tormenti del passato. Prigioniera di un errore che non ha commesso - la morte dell'amante Antonio, durante l'esecuzione di uno dei numeri dello spettacolo - come la protagonista di Suzanne Simonin, la religiosa (1967), innamorata di un fantasma come Pauline in Out 1: Noli me tangere (1971), funambola sospesa sulla vita come Louise di Alto, basso, fragile (1991). La Birkin porta a compimento il destino implicito dei personaggi rivettiani che come "tutti i draghi della nostra vita sono forse principesse sofferenti che chiedono di venire liberate". Lo dice il bravo Sergio Castellitto nel film, lo pensa il saggio Rivette. L'arte non è mai stata nulla di diverso: una liberazione. E in Questione di punti di vista Castellitto è il regista/demiurgo, colui che restituisce ordine e senso a una compagnia di teatranti smarriti. Ma è anche lo spettatore con la quale ogni artista è chiamato a confrontarsi, per comprendere, per fare meglio. E basta poco: un parola diversa (o folle, anche qui è una "questione di punti di vista"), una trovata originale, un ruolo insolito. A Rivette è bastato pochissimo per fare di un piccolo film una grande lezione di vita.