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Quante storie abbiamo già visto dedicate alla spietata e realistica analisi del degrado urbano? Delivery, prima delle ventidue pellicole in concorso, del regista greco Nikos Panayotopoulos, non ci fa vedere l'Atene del Partenone e degli stadi olimpici: un ragazzo senza nome e forse senza patria (bello, bravo e misterioso il ventottenne Thanos Samaras) arriva in un imprecisato sobborgo della capitale e costruisce una serie di vincoli ed amicizie labili con il solo, fondamentale scopo della sopravvivenza. Non sembra capace - potrebbe essere una malattia dell'esistenza od un ripiegamento morale molto comuni oggi - di prendere innanzi tutto in mano il proprio destino (se non, almeno, al momento del tragico epilogo condito da una spruzzata di surrealismo); la sua giornata è un elogio della lentezza e del silenzio, non affronta le delicate questioni della vita per un eccesso patologico di indolenza. Il suo peregrinare, come fattorino di una pizzeria, diventa il ritratto molto tragico e livido di una città (Atene od altra non farebbe, a questo punto, alcuna differenza) che pone al centro esclusi, emarginati, o, come il linguaggio contemporaneo facilmente li chiama, gli esiliati, i profughi di tutti i paesi e tutte le culture. Ma questo "dark movie" sociologico non freme mai del battito vuoi di una denuncia vuoi di una crudezza d'autore: si limita ad esprimere con lunghi silenzi o volgari, brevi commenti "a latere", l'ampiezza del fenomeno, lo struggimento di amori mancati, il lavoro che non c'è, l'odore della morte, l'identità che si perde nelle acque del Pireo così come in tanti altri più o meno anonimi porti del mondo.