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Qualcosa di meraviglioso è la brillante storia di migrazione di un giovanissimo ragazzo del Bangladesh, Fahim, che dà il nome al film sulla scena internazionale. Fahim è un talento degli scacchi, ma le sue responsabilità si allargano presto oltre la scacchiera bianconera.
In Francia, dove si trasferisce con il padre in fuga dalle difficoltà, è il primo (e unico) a imparare il francese. È essenziale per comunicare con l’esterno, un esterno non più gentile degli avversari che trova nei tornei di scacchi. Gli stessi tornei che, peraltro, mal sopportano un concorrente privo di documenti di identità. Ma c’è sempre una prima volta…
Gerard Depardieu interpreta il suo maestro di scacchi, Sylvain Charpienter, il classico burbero dal cuore d’oro che non rinuncia mai a insegnare ai suoi piccoli allievi. È alla sua controparte nel mondo reale (prematuramente scomparsa) che è dedicato il film, tra l’altro: la sua solerzia permette al piccolo Fahim di crescere, dentro e fuori dalla “guerra” degli scacchi, è come un Obi Wan Kenobi meno in pace con la Forza.
Dal punto di vista registico, pur essendo la storia di sua natura fonte di momenti ad alta intensità, non si percepisce un intento (né un risultato) identitario. Il lavoro del regista, Pierre-Francois Martin-Laval, è svolto discretamente, in modo pulito seppure un tantino anonimo. Anche gli scacchi, purtroppo, sono affrontati alquanto in superficie. Peccato perché, come per i migliori film sullo sport, avrebbe giovato al drama un più profondo tuffo addentro alle “infinite avventure” vivibili sulla scacchiera.
Compensano, d’altra parte, gli attori tutti. Dal succitato Depardieu a Isabelle Nanty, dal giovane Assad Ahmed a Mizanur Rahaman, che nel mutismo del padre bengalese riesce comunque a portarsi a casa la scena più intensa del film intero, con niente più di un’interpretazione realistica in un momento drammatico.