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Pupazzi alla riscossa - UglyDolls
Ogni volta che in un film d’animazione industriale si punta il dito contro la produzione industriale bisognerebbe sentire puzza di bruciato: Pupazzi alla riscossa - UglyDolls, film basato sulla serie di vendutissimi pupazzi di peluche (che sta per dar vita anche a una serie tv) su questa puzza si fonda.
Con l’aggravante della spinta didattica e motivazionale: la protagonista del film è Moxy, pupazza abitante a Bruttopoli convinta che esista un mondo oltre il suo e che prima o poi un bambino la prenderà come sua bambola del cuore.
Perciò s’imbarca con i suoi amici in un’avventura che la porterà a Perfezione, dove le bambole sono addestrate a non avere un difetto.
Il prosieguo e la morale sono facilmente intuibili e già ampiamente sfruttati, ma la sceneggiatura di Alison Peck - su soggetto di Robert Rodriguez - sembra non interessarsene e punta a un’avventura pensata per il pubblico scolare, in cui ogni scena ha come suggello i motti “credi in te stesso” e “le differenze sono le nostre forze”.
Ottimismo della fede contro pessimismo della ragione: tutto giusto e condivisibile, ovviamente. Il problema di UglyDolls è che manca la sostanza del cinema d’animazione, ossia il divertimento, il ritmo, l’avventura, le risate.
C’è il paradosso di un film in cui il più grande spauracchio è il riciclo e che è formato da scarti di opere altrui (da Toy Story a Trolls), ci sono le canzoni a ripetizione e tanti nuovi pupazzi da smerciare: c’è il marketing che supera ogni cosa, pronto per gli spot pubblicitari tra un episodio e l’altro appunto.
Si salva un po’ il movimentato finale (anche qui, tutto derivato da Pixar), ma per gli adulti che accompagneranno i più piccoli al cinema sarà difficile arrivare fino alla fine, col dubbio aggiuntivo che nemmeno i figli si saranno poi divertiti tanto. Ma finché compreranno pupazzetti e gadget, a nessuno importerà poi troppo.