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Ci vuole pazienza nella vita, nella costruzione di una famiglia. E secondo Tamara Jenkins ce ne vuole anche nel cinema: a 11 anni da La famiglia Savage, la regista torna a raccontare la famiglia a partire dalla sua genesi in Private Life, un film prodotto e distribuito da Netflix.
Protagonisti sono Paul Giamatti e Kathryn Hahn, una coppia che da anni sta cercando di avere un figlio, ma anche i metodi scientifici paiono non funzionare.
Questo sta minando lentamente il loro rapporto, finché la figlia di una coppia di amici si propone loro come donatrice di uova scatenando ulteriori problemi. Jenkins, anche sceneggiatrice, parte dalla maternità per descrivere come il passo più naturale possibile per una coppia possa divenire il grimaldello col quale scoperchiare disillusioni, disagi, difficoltà attraverso i toni cangianti tipici della commedia drammatica indie.
Come recita il titolo, alla regista non interessano principalmente i meccanismi della fecondazione e delle donazioni, seppure vengano seguiti con attenzione e meticolosità, ma la vita privata di una coppia e di chi la circonda, le pieghe dei rapporti, i dettagli intimi da cui nascono domande universali.
E la forza di Private Life sta proprio nella capacità di comunicare a un pubblico ampio attraverso lo scavo nei personaggi, attraverso i silenzi tra di loro, le distanze e le prospettive di ognuno di essi.
Jenkins gira e mette in scena con la stessa pazienza che racconta, in più mostra anche una precisione nella gestione dei toni, una calma che nasconde la forza della riflessione, un’armonia notevole tra regia, scrittura e l’interpretazione fantastica dei due protagonisti i quali sembrano, come la stessa regista, cercare dentro quei personaggi piuttosto che tirarne semplicemente fuori le emozioni: come se la nascita, il parto, la costruzione di una vita e di una famiglia non fossero solo processi biologici, ma anche compiti sociali e culturali che spettano a tutti i coinvolti, non solo ai genitori. E in questo senso anche agli spettatori.