Gli anniversari sono sempre un’ottima occasione per esercitare il vizio della memoria e fare i conti con quel che resta di un’eredità e il cinema italiano sta celebrando come merita Enrico Berlinguer a quarant’anni dalla morte. Tra Arrivederci Berlinguer! che offre nuova vita ai materiali di repertorio (soprattutto di propaganda) e l’imminente La grande ambizione di Andrea Segre con Elio Germano nel ruolo del segretario comunista, ecco Prima della fine. Gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer, nuovo lavoro di Samuele Rossi (solide basi da documentarista, dal bellissimo Biografia di un amore a La memoria degli ultimi sulla Resistenza fino a L’uomo che scriveva sull’acqua su Indro Montanelli, ma anche regista del teen movie Glassboy) che si concentra, come da titolo, su quel che accadde tra il 7 giugno 1984, giorno del malore fatale durante un comizio a Padova, e l’11, data della morte (quando “ha mancato di esistere”, come annuncia il medico).

Anche qui, come nel doc di Mellara e Rossi, la scelta di affidarsi agli archivi è tanto radicale quanto suggestiva perché lavorare sulla memoria significa prendersi carico delle immagini e di ciò che rappresentano così da evitare quel che accade con altri documentari d’occasione: i materiali del passato ridotti a pezzi di un discorso didascalico in cui anziché dialogare con il presente si limitano a restituire quel tempo come qualcosa di lontano e finito. Rossi fa l’esatto opposto: il presente è nei ricordi restituiti dalle voci di dentro, che restano fuori perché sono testimoni attivi della vicenda (non ne vediamo le facce), dalla giornalista locale in redazione la sera del malore al segretario cittadino fino al funzionario del servizio d’ordine.

Prima della fine. Gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer
Prima della fine. Gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer

Prima della fine. Gli ultimi giorni di Enrico Berlinguer

E riflette sulla civiltà delle immagini e sul potere della comunicazione politica, con il volto di Berlinguer ripreso sui maxischermi che per la prima volta il Partito decise di utilizzare per amplificare l’impatto del comizio: in questa decisione “moderna” c’è fatalmente qualcosa di imprevedibile e che ha pochi eguali nella storia nazionale, con il capo di una comunità che offre il proprio corpo allo sguardo della massa, che – lui così timido e discreto – per cinque giorni muore in diretta senza che quel corpo venga ostentato al voyeurismo mediatico. C’è un passaggio molto toccante in cui il primario dell’ospedale di Padova garantisce alla moglie di Berlinguer di proibire foto e video nel capezzale: cosa affatto scontata se pensiamo a tante invasioni di campo, in primis l’agonizzante Pio XII immortalato dall’archiatra Riccardo Galeazzi Lisi.

Più che un prima della fine è un durante la fine, il “mentre morivo” di un’icona la cui voce torna come un’eco lontana a restituire l’etica di un operato, la lucidità di una passione, il senso di una scelta. Con quel rewind finale che, scavallando nastri rovinati e suoni gracchianti, tenta l’impossibile e sfida la nostalgia in nome dell’utopia. In anteprima al Biografilm Festival.