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Presunto innocente
Goccia a goccia ogni scoperta, ogni nuovo dettaglio, scalfisce l'immagine di presunto innocente incarnata da Rusty Sabich (Jake Gyllenhaal, anche produttore esecutivo), vice procuratore capo in quel di Chicago. Perché c'è qualcosa di peggio dell'efferato omicidio di una collega di lavoro: essere sospettato di aver compiuto il crimine. Una goccia dopo l'altra, mentre anche la città viene sempre più inondata dalla pioggia battente, con rari sprazzi di sole, la domanda resta soltanto una: Rusty Sabich è colpevole o innocente?
Tratto dall'omonimo primo romanzo di Scott Turow, già best seller per il New York Times nel 1987 (pubblicato in Italia da Mondadori) Presunto innocente ha l'ardire di diluire in otto episodi, tutti sotto i tre quarti d'ora di durata, il terribile viaggio del protagonista nei meandri tortuosi e oscuri degli intrighi politici e sentimentali che si possono insinuare dietro ogni indagine e processo. Che sono poi il suo pane quotidiano, visto l'importante ruolo che ricopre.
Ma attraversarlo per la prima volta da cittadino sospettato di omicidio ribalta le prospettive e impone una drastica verifica delle certezze acquisite. Il clamore del caso è amplificato dalle imminenti elezioni per il rinnovo della carica che vedono l'uno contro l'altro l'attuale procuratore distrettuale Raymond Horgan (Bill Camp) e l'ambizioso sfidante Nico Della Guardia (O-T Fagbenle) con il suo viscido secondo Tommy Molto (Peter Sarsgaard). Le immagini e i video del processo e delle conferenze stampa rimbalzano su televisioni, smartphone e computer di chiunque, e flebile appare l'urlo di Rusty Sabich: non l'ho uccisa io, non ho ucciso Carolyn Polhemus.
Ma prima di arrivare – e non ci vuole molto – all'accusa di omicidio, il nostro protagonista è la persona chiamata a indagare sul caso. Una scelta che arriva dritta dritta da Raymond Horgan, che di Rusty è capo e intimo amico e sa che lui è il migliore. Infatti Rusty si mette sotto e indaga, ma il caso è complesso. Carolyn Polhemus (Renate Reinsve, La persona peggiore del mondo, Another End), assistente procuratrice, è stata assassinata brutalmente in casa sua, e non c'è traccia di effrazione. Rusty cerca e trova un collegamento tra il suo delitto e un caso del passato a cui lavorarono insieme, ed ecco che arriva l'accusa di omicidio per lui. Qual era la sua relazione con la vittima? Il nostro prova a sfilarsi: i suoi rapporti con la vittima non sono pertinenti, e comunque lui è innocente. Ma la legge non guarda in faccia a nessuno, soprattutto se adesso ha il volto affilato e i riccioli ribelli di Tommy Molto, che intanto ha preso il comando delle indagini.
E via così, una vertigine dietro l'altra a ogni nuovo elemento che suggerisce la colpevolezza di Rusty, pur in assenza di prove concrete. Una vicenda intrigante e coinvolgente, nata dalla prolifica penna di Turow, scrittore e avvocato penalista che ha saputo creare qualcosa di nuovo col suo sguardo beffardo sulla giustizia statunitense e i suoi incredibili meccanismi segreti.
Il cinema si era già impossessato della storia nel 1990 col film Presunto innocente diretto da Alan J. Pakula e interpretato da Harrison Ford, Raúl Juliá e Greta Scacchi. Naturalmente pur essendo tratte dal medesimo romanzo, pellicola cinematografica e serie hanno molte differenze.
Nella serie, Rusty è un uomo apparentemente realizzato, con una bella famiglia e un lavoro appagante. Nei primi attimi lo vediamo in azione con la giuria di un processo e dalle sue parole emerge la fiducia nella giustizia e nei suoi fondamenti. Tutti sono chiamati a fare la propria parte, spiega, e il ruolo dei giurati è fondamentale: sono loro che stabiliranno come siano andate le cose, dove sia la verità, e sempre loro dovranno decidere se l'imputato è colpevole o meno, sulla base di quanto ascoltato e visto in tribunale. Rusty crede davvero nelle parole che dice? Immaginiamo di sì.
E Rusty allora è colpevole? Sì, dichiara lui, ma non dell'omicidio. Ammette di aver perseguitato Carolyn con messaggi, telefonate, mail in cui la disprezzava e contemporaneamente la supplicava di tornare con lui, di ripensare alla sua decisione di lasciarlo. Rusty è colpevole di essere innamorato follemente di Carolyn, di più, ossessionato al punto di non riuscire a smettere di pensare a lei. Il suo volto, il suo sorriso, la carnalità del loro rapporto sono brevi immagini che riaffiorano perennemente nella mente di Rusty mentre lavora o sta sotto la doccia, mentre abbraccia sua moglie o guida la macchina. Carolyn Polhemus si è impossessata della sua vita e il suo amore per lei è come un inferno che brucia dentro.
Carolyn era una donna forte, meticolosa e brava nel suo lavoro fino a essere considerata senza scrupoli. La sua professione era la sua vita, tant'è che ha sempre tenuto le cose compartimentate a tal punto che neanche chi la conosceva – o presumeva di – sapeva granché di lei. Oltre l'attrazione sessuale, Rusty è colpito dal suo integerrimo lavoro, dalla sua forza di andare fino in fondo anche se minacciata.
Il Rusty di Harrison Ford, invece, ha lo sguardo penitente e l'aspetto stereotipato del brav'uomo: siamo disposti a crederlo innocente, nonostante tutto. Nonostante, soprattutto, non si comporti da innocente: avalla l'occultamento di una prova e il subdolo ricatto un giudice. In qualche caso per scoprire la verità bisogna nasconderla. La domanda esistenziale diventa: è lecito occultare la verità per arrivare alla verità? Non ci chiediamo mai se Rusty sia colpevole, anzi, fino all'ultimo momento ci domandiamo come farà a scagionarsi. Il film, più che un thriller puro, è il dramma di un uomo innocente costretto a dover dimostrare la sua estraneità al delitto. L'adattamento da romanzo a film è anche, in questo caso, la sua semplificazione, e il film soffre in particolare di un tono non pienamente realistico, anche a causa di una direzione degli attori non sempre salda e convincente.
Ma dal punto di vista linguistico, è indubbio che il film di Alan J. Pakula possegga alcuni momenti di cinema puro. Perfino la quasi ridicola acconciatura da paggio di Ford acquista un significato; la scena in cui la Carolyn di Greta Scacchi è sdraiata nuda su di lui racconta il loro rapporto più di mille parole e ci convince del potere ammaliante di lei senza dover mettere in campo nemmeno un singolo cliché da femme fatale. Il film, in altre parole, fa affidamento sulle armi espressive proprie del cinema: la forza emotiva delle immagini e dell'azione, e grazie alla loro efficacia produce un'opera emotivamente coinvolgente, seppur ad oggi datata e sopra le righe. Il film può anche perdersi nella memoria, nell'oceano sterminato del prodotto audiovisivo, ma alcune immagini restano allo spettatore.
La serie, d'altro canto, è molto realistica; personaggi, scene e dialoghi sono tutti e sempre credibili con una minuzia di scrittura quasi teatrale, con l'idea di un fluire in tempo reale rafforzata dalla stretta continuità che lega ogni episodio al successivo. La scrittura è netta, implacabile, sopraffina. Che siano ambientate nel tinello domestico di Rusty o Raymond, nei corridoi del tribunale o nei loro servizi igienici, ogni scena porta avanti la trama e aggiunge un'informazione importante sui personaggi, sì da mantenere sempre ottimale il livello di tensione.
Un lavoro a regola d'arte, che non indietreggia dietro la sfida di raccontare la banale quotidianità del racconto "momento per momento". Questa era probabilmente la sfida più complessa da vincere, e Presunto innocente ci riesce in pieno. Nel grande spazio dato alla parola, anche a discapito dell'azione, si rinuncia a elementi visivi davvero accattivanti (se si eccettua una totalmente inaspettata e deliziosa citazione di un classico cronenberghiano degli anni Ottanta). Ogni episodio è perfettamente costruito fino al colpo di scena finale, pronto per il più classico dei binge-watching dell'era della fiction in streaming. Anche da un punto di vista tematico, la serie, pur carica del dramma personale del protagonista, funziona più come un thriller puro: Rusty è colpevole o innocente? Questa è la domanda drammaturgica che muove il racconto e cattura l'attenzione dello spettatore fino all'ultima puntata. Ma ci importa davvero del destino del Rusty di Gyllenhaall? In altre parole, tifiamo davvero per lui, come tifiamo per il Rusty di Harrison Ford? La risposta è no: ci interessa di più sapere se è colpevole o innocente. Riuscirà la verità a uscire dal pozzo, come nel celebre dipinto di Jean-Léon Gérôme?
Come la memoria, la verità emerge – impossibile non pensare a un altro thriller, stavolta soprannaturale, quel Le verità nascoste in cui Harrison Ford aveva un ruolo molto più ambiguo. In Presunto innocente, la serie, in modo simile a un whodunit, lo spettatore vuole solo scoprire chi è l'assassino.
Ma non è un limite gravoso, come invece capita in altri gialli molto più corrivi, perché siamo davanti a un prodotto di eccellenza. Che però, probabilmente e a differenza della riduzione cinematografica, rischierà l'oblio emotivo una volta consumata la visione. Cosa di cui il creatore David E. Kelley (Ally McBeal) e il produttore esecutivo J.J. Abrams (Lost), due vecchie volpi del piccolo schermo, sono pienamente consci, accettandola come sacrificio necessario sull'altare dell'intrattenimento.