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Se non ci fosse la trovata della preveggenza a quest'ora parleremmo solo dell'ennesimo copia e incolla da Seven.
Il classico film di serial killer. La solita escalation di delitti manifestati in trame bizzarre di corpi raccapriccianti. La vagonata di indizi poco plausibili. Le notti nere e piovose e poi la luce, che improvvisa si accende tra oscure elucubrazioni di detective. Segno che il cerchio si stringe, la soluzione è vicina, arriverà dopo un crescendo di tensione.
L'abc del filone, prontamente riversato in Premonitions, dove la scena del crimine è meno truculenta del normale - una morte veloce e indolore viene recapitata alle vittime da una mano precisa e un punteruolo gentile - e la coppia di investigatori (Jeffrey Dean Morgan ed Abbie Cornish) piuttosto mal assortita, perciò immediatamente superata dal terzo incomodo, il premonitore da titolo, interpretato da un distratto Anthony Hopkins.
Vedi Hopkins in un film di serial killer e ti chiedi dove sia Hannibal Lecter. Eccolo nella dinamica da mentore e allieva che Hopkins instaura subito con la bella e brava Abbie Cornish, mentre Jeffrey Dean Morgan scivola via dalla storia lasciandoci un'altra volta perplessi: come fa uno con una faccia così a non avere nemmeno un grammo di carisma? Mistero più inquietante di quello proposto dal film, che Alfonso Poyart dirige in modalità videoclip, facendosi prendere la mano da inserti visivamente pacchiani e stordenti, a discapito di una narrazione compatta in una forma adeguata.
La preveggenza poi è un trucco che in una crime-story dovrebbe essere usato con cautela, senza barare. Avvertenza che Poyart e sceneggiatori ignorano. In compenso conoscono bene l'utilità di un espediente e non si risparmiano nel discettare di questioni morali complesse inerenti la malattia, la sofferenza fisica e l'eutanasia. Un modo astuto per non parlare di suspense.