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Che l’arte contamini la vita, e viceversa, è vero, sebbene qui di arte non si parli. Diciamo che il cinema e la vita vanno qui, come altrove, a braccetto, e che il caso Fausto Brizzi – accusato di molestie, è stato espunto dal trailer e inibito da qualsiasi attività promozionale di Poveri ma ricchissimi – nel film di cui è orfano rimbalza prepotente e ironico, a suon di battute: “Nessuno mi può pregiudicare, nemmeno tu” (Brignano); “L'uomo deve visita’ tutte le spiagge prima di decidere dove piantare l'ombrellone della felicità” (De Sica); “Questa è la mia sala giochi, qui dentro cerco il piacere assoluto” (Ciavarro).
Si aggiunga, per gradire, che il medesimo Massimo Ciavarro, nel ruolo di uno scrittore seduttore e cultore del BDSM, fa firmare alle sue “vittime” un obbligo di riservatezza. Ci sarebbe da ridere se, appunto, il film fa cesse ridere, ma l’unica risata strappata a una, ehm, selezionata platea stampa è quella, già nel trailer, pronunciata da Lucia Ocone: “Se esagero troppo con l’alcol mi viene un problemino alle gambe… - Eh? - Niente, mi si aprono”.
Per il resto, ritroviamo un Christian De Sica modestissimo, un Enrico Brignano in sordina (eufemismo) e una storia che non c’è: i burini Tucci proclamano l’indipendenza – stile Brexit - a fini fiscali, trovano perdono e ritrovano i soldi vinti con la lotteria e… che sonno.
Non è nemmeno volgare, è un simil-cinepanettone triste, sciatto e annoiato: aridatece i peti, almeno. Poveri ma tristissimi.