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Poveri ma ricchi
Un piccolo paese del Lazio, nelle campagne di Frosinone, una famiglia modesta composta da padre, madre, una figlia con tutte le ambizioni e i miti dei giovani di oggi, un figlio adolescente dall’intelligenza vispa che deve tenere nascosta per non fare sfigurare gli altri. Poi ci sono un cognato, botanico e nullafacente, e la nonna, patita di serie televisive. Sono i Tucci, che Kevi, il ragazzo sopra la media, si incarica di presentare allo spettatore. Una vita di tranquilla povertà che ad un certo punto si trasforma in modo inatteso. La famiglia vince alla lotteria la cifra enorme di 100 milioni di Euro. I Tucci decidono allora di trasferirsi a Milano, per fare la bella vita…Si tratta di un remake del film francese Les Tuche, grande successo nel pubblico d’Oltralpe.
Sul testo originale, Brizzi e Martani hanno lavorato per scrivere una sceneggiatura al tempo stesso aderente e in gradi di rendersi autonoma con opportuni inserimenti e variazioni, Soprattutto con il supporto di una ambientazione che la rendesse una ‘tipica’ storia italiana. I poveri che diventano ricchi innescano da subito una serie di equivoci tanto prevedibili quanto sfrontati, eccessivi e paradossali. Su questa traccia già densa di ipotesi fantasiose si innesta il confronto Roma/Milano. E sono due fattori (il passaggio da poveri a ricchi; quello dalla capitale reale a quella ‘morale’) destinati ad agire in mille forme diverse. Secondo un’ottica, va detto, già trattata più volte dal cinema italiano. La curva delle trasformazioni passa dalla tentazione di non farsi scoprire, alla decisione di spendere in modo vistoso, alla prova di una impossibile integrazione con i ricchi ‘snob’. Qui il copione svaria da momenti felici a toni più bassi, alternando comicità misurata e umorismo pesante. La misura di mezzo si salva grazie ad un tono scherzoso e all’occorrenza malinconico che scorre verso un finale buono tendente al buonista per salvare capra e cavoli della scelta di prediligere la povertà che fa tornare la tranquillità.
Nella ruota corale dei protagonisti, Christian De Sica è il capofamiglia Danilo Tucci, a proprio agio tra mozzarelle e campagna, accanto a lui si muovono Enrico Brignano, il cognato, Lucia Ocone, la moglie, Lodovica Comello, la figlia, Anna Mazzamauro, una vivace nonna Nicoletta. Che il film si muova all’interno del filone nazional popolare lo certifica il coinvolgimento di Al Bano, e di Gabriel Garko, nel ruolo di se stessi. Segno che il film inclina più verso Mattoli che non verso Monicelli.