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Porco Rosso
Lucky Red prosegue con la meritoria distribuzione dei lungometraggi di Miyazaki inediti in sala. Dopo Totoro (dopo qualcosa come ventidue anni) e in attesa di altri capolavori (la mente va a Nausicaa della valle del vento, anno di grazia 1984…), tocca a Porco Rosso, unico film di Miyazaki ad avere una precisa collocazione temporale storica e geografica (la Dalmazia, all'indomani del primo conflitto mondiale). Peculiarità del film è come l'elemento favolistico emerga senza stridere da una cornice realista, con l'aviatore italiano Marco Pagot (affettuoso tributo a una grande dinastia di cartoonist italiani) divenuto maiale in seguito a un misterioso evento che la realtà circostante non sa spiegare, e dunque resterà inspiegato. La “somatizzazione” di questo evento è per Pagot lo specchio di una colpa da espiare in esilio, la conseguenza di un atto anticonformista in epoca bellica (la scelta di vivere) che è anche atto di ribellione al codice d'onore di una collettività omologata dal totalitarismo (e la frase “meglio porco che fascista”, detta da un animale simbolicamente ai margini dall'immaginario collettivo, vale da sola il film). Legato all'immanente dalla propria umanità e da una nuova stazza, Marco/ Porco Rosso vive solitario cacciando taglie col proprio biplano.
L'elegia romantica che lo vede protagonista è un risveglio alla vita, da accettare in blocco con annessi e connessi: l'amore di Gina, l'affetto per la piccola meccanica Fio, il conflitto col bellimbusto e rivale in amore Curtis, contrapposto a Marco in chiave antimanichea (un topos della produzione di Miyazaki, sempre attento a evitare i didascalismi simbolici e a rimescolare le carte dei profili psicologici). Malgrado qualche passaggio frettoloso e una storia meno fluida che in altre circostanze, Porco Rosso emoziona con l'eccezionale qualità dell'animazione e la levità delle musiche di Joe Hisaishi. E ora che Miyazaki ha annunciato un sequel, c'è un motivo ulteriore per recuperarlo. In sala. Finalmente.