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Dopo l'acclamato Persepolis, un faticoso passo in avanti per Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud. Anche in questo Poulet aux prunes, in concorso a Venezia 68, è sempre una graphic novel (della Satrapi) a fornire il soggetto, ma sullo schermo l'animazione lascia spazio al live-action, relegandosi a far da sfondo, ritagliandosi qualche sparuta sequenza esclusiva e qualche inserto qua e là.
Diciamolo subito, non è un film riuscito, ma un'auspicabile, valida opera di transizione, ovvero il tentativo di affrancarsi dalle strisce dei fumetti per provarsi cineasti tout court. Non solo, dopo l'autobiografia “fumettata” di Persepolis, Marjane non abbandona l'Iran, ma solleva Teheran dalla carta storico-politica per trasportarla nei territori dell'immaginazione, nella dimensione onirica, mettendo quasi tra parentesi la denominazione d'origine controllata. E vi immaginate la fatica che può costare a un'esule?
E' una traslitterazione poetica che, viceversa, lascia campo libero alla sortita cinematografica della nazione che da anni ospita la Satrapi e ha dato i natali a Paronnaud: la Francia, quella de Il favoloso mondo di Amelie e Appuntamento a Belleville (atmosfere, non animazione), quella dell'amour fou variamente e incessantemente declinato e del surrealismo metropolitano di Caro e Jeunet.
Che racconta, dunque, il film? Nella Teheran del '58, gli ultimi giorni del virtuoso violinista Nasser Kahn (Mathieu Amalric, bravo), che per un amore impossibile (Iran, ovvero Golshifteh Farahani) decide di lasciarsi morire: una settimana d'agonia, che svela la natura irrefutabilmente amorosa della sua musica e, viceversa, stigmatizza il matrimonio capestro con Faringuisse (Maria De Medeiros), la vicinanza alla figlia e alla madre defunta (rispettivamente, Chiara Mastroianni e Isabella Rossellini) e la siderale distanza dal figlio. Facendo del patchwork stilistico e del collage dei registri le spie scoperte dell'intenzionale art pour l'art, Satrapi e Paronnaud intessono una narrazione che va e viene nel tempo (flashback e flashforward, inversioni, diversioni e diversivi), ma in realtà fluisce placida, confinata nelle anse dell'abbandono dell'amore e all'amore, risultando permeabile alla noia: del resto, Nasser Kahn ha deciso di morire, e la noia può essere scambiata per cordoglio, o no?
Non che in questo Pollo alle prugne non si rida, anzi, ma quelle comiche sono poche e nervose pennellate su una tela che non sorride, non può sorridere: lasciate ogni speranza voi ch'entrate, dice la Satrapi, perché colore e animazione, bon mots e nonsense non possono che dare il belletto all'irredimibile nichilismo. Non è il pollo del dì di festa, ma l'ultimo pasto di un condannato a morte. Per amore.