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Polisse
Non è un lavoro come gli altri, quello del poliziotto. Per gli agenti parigini della BPM (Brigade de Protection des Mineurs), poi, il discorso si amplifica: salvaguardare ogni minorenne da abusi e molestie di qualunque tipo è la loro missione.
Nasce dalla suggestione scaturita dopo aver visto un documentario trasmesso dalla tv francese, Polisse, terzo lungometraggio di Maïwenn, attrice e regista 35enne che, nel film, si ritaglia il ruolo della fotografa inviata dal Ministero degli Interni per documentare il lavoro della BPM. Scritto insieme ad Emmanuelle Bercot, Polisse è basato su indagini e azioni reali, sulle testimonianze raccolte dalla stessa regista o vissute in prima persona durante il periodo di sopralluoghi trascorso a stretto contatto con i veri poliziotti. Dagli interrogatori con presunti padri molestatori alle retate notturne per liberare i piccoli rom dalla schiavitù di una vita condizionata da furti e delinquenza, ogni agente assume su di sé la responsabilità sociale di un avvenire meno infausto per i minori che è chiamato a tutelare: il tutto a discapito di un'esistenza, la propria, che non sempre riesce a salvaguardare le aspettative e le esigenze delle persone care: mogli, mariti e figli.
Rendendo chiaro sin dalle prime inquadrature il taglio estetico dell'opera (a metà strada tra fiction e documentario), Maïwenn riesce nell'intento primario, mostrare lo spaccato di un gruppo solido, concentrato sull'obiettivo, e le contraddizioni che ne animano la quotidianità, tanto nei rapporti interpersonali quanto nella frustrazione di non poter aiutare tutti i bambini nello stesso modo. In tal senso, la giovane regista centra la scena più bella dell'intero film in quell'abbraccio tra Fred (Joey Starr), tra tutti il poliziotto che meno degli altri accetta il fallimento dei loro sforzi, e il bimbo che per volontà materna viene assegnato ad un ricovero per indigenti. E' in quella dolorosa separazione e nella forza del conseguente abbraccio il tratto più sincero di un'opera che, forse troppo sentita, rischia di voler mostrare "tutto" (la scena dell'aborto con il feto morto messo poi in un sacchetto) senza tralasciare nulla (anche nei dialoghi), arrivando al colpo basso di un finale "ad effetto" che rischia di vanificare ogni cosa.
Nel cast, affiatato e ben assortito ( da Karin Viard a Marina Foïs, da Nicolas Duvauchelle alla stessa Emmanuelle Bercot), anche il nostro Riccardo Scamarcio: è Francesco, padre delle due bambine avute con Melissa (Maïwenn).