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P.O.E.
Silenzio, La sfinge, La verità sul caso Valdemar, Le avventure di Gordon Pym, L'uomo della folla, Il gatto nero, Il giocatore di scacchi di Maelzel e Canto. Sono i titoli degli otto cortometraggi (in origine erano tredici, ma Distribuzione Indipendente li ha ridotti per l'uscita in sala) inclusi nel progetto collettivo firmato da 15 registi italiani (ma in sala si sono ridotti di numero anche loro): P.O.E. (Poetry of Eerie) doveva essere un omaggio al genio di Edgar Allan Poe. Sciagurato azzardo. Degli episodi che compongono il film, collegati a vario titolo con i racconti dello scrittore, non ce n'è uno che si salvi davvero.
Evidentemente non è un problema di storie (si può criticare forse l'inventiva di Poe?) né vale, stavolta, la scusa del prodotto low-budget. L'horror tricolore ha un glorioso passato artigianale. No, siamo di fronte a un caso di torpore espressivo. Di sceneggiature inchiostrate con l'uniposca. Di una traslitterazione casereccia degli stilemi di genere. Di una recita scolastica con strafalcioni dialettali e momenti d'imbarazzo inammissibili a questi livelli. Soprattutto di un'encefalogramma piatto della paura. Incomprensibile il divieto ai minori di anni 18.Preso però per quello che non è, può risultare divertente. Dopotutto più che a Poe, questa è una dichiarazione d'amore a Maccio Capatonda.