Un uomo lascia la propria donna che si mette con un altro provocondo le gelosie del primo che escogita un sistema infallibile per riprendersela: il Plan B che dà il titolo al film, un trucco vecchio quanto il mondo che consiste nel conquistarsi la fiducia del nemico e fregarlo. Un'idea banale, che poteva essere sviluppata in un cortometraggio di venti minuti, è diventata un'elucubrazione di due ore, diretta da un esordiente argentino, Marco Berger, e finita non si sa come in concorso a Roma. Se la storia - che rivela scontate rivoluzioni omosex - è quello che è, la forma è la sostanza stessa di questo equivoco: dialoghi mortificanti, quadri marmorei e una definizione digitale da Un posto al sole, che ci ricorda se non altro perché la pellicola non si decide a morire. Se quella di Berger era una provocazione - impossibile mantenere l'aura da 35 mm in tempi di storie e idiozie dilaganti - è caduta nel vuoto, anzi nel sonno. Se non lo era, ed è quelllo che temiamo, la sua presenza in gara finisce per diventare un avvertimento di come il digitale possa trasformarsi, da etica del cinema povero, a estetica del povero cinema.