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1990, Jacques (Pierre Deladonchamps) vive a Parigi, ha un figlio piccolo, è omosessuale, malato di Aids: scrive, ha una certa fama, e un certo scetticismo sul futuro. Nondimeno, una porta aperta, per qualcosa di più del mero sesso, la lascia: a spalancarla è Arthur (Vincent Lacoste), che di anni ne ha quasi la metà, studia a Rennes e vuole raggiungere Parigi e, prima ancora, lui.
E’ il loro passo a due sensuale, esistenziale e mortale a percorrere Plaire, aimer et courir vite (Sorry Angel), diretto da Christophe Honoré e in Concorso a Cannes 71. L’amore omosessuale ai tempi dell’AIDS, volessimo farla breve, e non si può non ricollegarsi a 120 bpm di Robin Campillo sulla Croisette l’anno scorso: stante anni e situazioni analoghe, qui il coté è meno collettivo e politico, più singolare e intimo, sebbene il retroterra culturale fatto di poster fassbinderiani, canzoni (Les gens qui doutent di Anne Sylvestre, i Massive Attack di One Love, Pump Up the Volume, …) e libri allarghi l’orizzonte, e l’abbraccio, in senso paradigmatico.
I due si cercano, si trovano, si sfuggono, ed è un dai e vai condito di ironia e bramosia, nonchalance e abbandono, forse, passaggio di testimone: nello scrittore affermato e nel cineasta in erba Honoré mette e prende del suo, e chissà se nel cognome di Jacques, Tondelli, non ci sia il nostro Pier Vittorio.
Davvero troppo lungo, due ore e 12 assai sfrondabili, Sorry Angel sfilaccia una storia, anzi, un rapporto che avrebbe abbisognato di maggiore profondità, compattezza e ariosità: i momenti di incontro tra Arthur e Jacques rischiano talvolta di sembrare parentetici rispetto alla storia, e purtroppo - stante l’acerba e affamata educazione sentimentale di Arthur – anche sotto il profilo emotivo ed emozionale le cose migliori stanno altrove, nel rapporto di Jacques con il figlio, con l’ex amante morente Marc e, su tutti, con l’ex compagno e ora amico per la vita e per la morte Mathieu, interpretato dal più bravo di tutti, il notorio Denis Podalydes.
Insomma, c’è qualche problema di pesi, contrappesi e vuoti prima poetici e poi drammaturgici, sicché le pennellate diventano esauste, sequenze splendide si perdono nella restante mediocrità, e poco rimane tra le dita, pardon, tra gli occhi. L’AIDS unisce e separa, per epoche e vissuti, c’è del dolore autentico, ma nemmeno troppo, manca però la militanza di 120 bpm e, da lì viene Deladonchamps, la risoluzione e la risolutezza dello Sconosciuto del lago: Sorry Angel, e un po’ dispiace davvero, questa indecisione.