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"Impedire a un ragazzo di inseguire i propri sogni è pressocché impossibile”.
Parola di Camille Pissarro (1830-1903), padre putativo del movimento impressionista (Cèzanne e storici d’arte dixerunt), precocissimo disegnatore, finissimo bozzettista, arista tanto squattrinato quanto magnanimo, liberale con gli amici colleghi, di origini ebree (poi rinnegate), di natali antillesi, di passaporto danese. Dodicenne fu già a Parigi, cosmopolita ed esploratore poi di mondi (il Venezuela, di nuovo Parigi in tempo per l’Expo 1870, poi Londra con Monet), fu padre di undici figli (tre morti), celebrato da Zola, insofferente al potere e alle convenzioni, scopritore di talenti come Cézanne, sempre scettico sulle sorti progressive del capitalismo.
È il ritratto a tutto tondo dell’artista che emerge dal doc Pissarro. Il padre dell’impressionismo diretto da David Bickerstaff (secondo appuntamento stagionale della serie Grande Arte al Cinema distribuito, come da prassi, da Nexo Studios). Un’opera che ripercorre con dovizia e spirito enciclopedico vita, opere, tormenti, ispirazioni e tragedie di uno straordinario innovatore dell’arte pittorica nel XIX secolo.
Spolverando straordinari materiali d’archivio (lettere e bozzetti provenienti dal Durand-Ruel di Parigi), convocando esimie talking heads (ricercatori, direttori museali, professori tra il Kunstmuseum di Basilea, l’Università di Parigi e l’Ashmolean di Oxford), il film riannoda tutto il filo biografico della vita di Pissarro, tessendolo con le innovazioni pittoriche e il nuovo sentire poetico che prima fu disprezzato (il doc calca sulla mostra parigina del 1874 che pur battezzando di fatto l’impressionismo espose Pissarro, Monet, Renoir, Degas, Morisot, Pissarro, Sisley al ludibrio critico) e poi fece scuola in tutto il mondo.
Ne esce un ritratto ammirato, accorato, che cerca l’agiografia e si insinua nel privato (i dissapori coniugali e il dolore per la morte dei figli) per farsi illustrazione a colori di un vivere (e dipingere) inimitabile sottolineando sempre la scintilla innovatrice, l’insubordinazione artistica, la spinta rivoluzionaria e anticonvenzionale che guidò il pennello del pittore per tutta la vita.
L’arte, dunque, come identificazione, distrazione, scoperta e sublimazione di sé per un campione di anti-convenzionalità, sempre fedele a quella “ostinata rappresentazione rurale” (dal Venezuela alla Francia campestre) che ne fece grande il nome del mondo.