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Il contrario di Siccità: dalla mancanza di acqua a una pioggia senza scampo, dalla commedia all’orrore. “L’acqua, l’insegna la sete”, scriveva Emily Dickinson. Non potremo mai capire l’essenza di un elemento se non ne conosciamo la mancanza, spiegava l’autrice. Lo sa bene il regista Paolo Strippoli, che in Piove lavora sulla sofferenza della memoria. La paura viene da dentro di noi, scatena il nostro lato oscuro. È il mondo a essere infetto, a distruggere i rapporti, le emozioni.
L’horror è intimista, brutale, come il ricordo di un affetto che non tornerà più, il senso di colpa per la perdita di chi ci ha generato. Piove sulla periferia, sulle strade deserte, su un’adolescenza difficile, su un amore spezzato. Piove rimescola l’immaginario del genere per ragionare sulla famigliarità tossica, sui padri e sui figli che, invece di amarsi, si ammazzano.
L’incedere è da tragedia classica, in una cornice che si sofferma sulle mutazioni, sugli incubi che deformano, sulla possessione che si fa conseguenza dei nostri desideri più nascosti. Piove. La caduta è dall’alto, le varie fasi di avvicinamento al temporale scandiscono l’andare della storia. E poi l’oscurità, le urla che anticipano il silenzio.
I palloncini potrebbero richiamare incubi kingiani, ma rappresentano un’innocenza che non c’è più, l’impossibilità di essere bambini e dover subito scoprirsi adulti. Il dinamismo sfrenato porta all’immobilità, e poi alla follia. Strippoli si immerge in quel dolore, tratteggia la bestialità dell’uomo, l’implodere della comunità attraverso pulsioni selvagge.
L’horror è vivo, anche se in Italia si vedono pochi progetti che non guardano all’America. Qui forse siamo più vicini a Lasciami entrare di Tomas Alfredson rispetto agli universi evocati oltreoceano. Strippoli in qualche modo si allontana da A Classic Horror Story, girato con Roberto De Feo. Mantiene l’attenzione per la colonna sonora, si discosta dai toni pop per realizzare una storia più matura e inquietante.
L’ironia ha ceduto il passo a un film che coglie i risvolti oscuri del nostro tempo, alludendo a malattie incontrollabili, alla disperazione che non può essere dominata. Che cos’è l’horror? Uno sguardo spietato sull’oggi, su cui Strippoli ha il coraggio di indagare, confermandosi uno dei talenti migliori per il futuro dietro la macchina da presa.