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Photographic Memory
Ross McElwee torna a Venezia a tre anni dall'ultimo In Paraguay: di nuovo nel concorso Orizzonti presenta il lungometraggio Photographic Memory. A dispetto del titolo, un altro film autobiografico a bassissimo tenore saggistico.
Stanco delle incomprensioni e dei dissidi con il figlio maggiore, il regista decide di tornare sulle tracce della propria giovinezza ripercorrendo i luoghi frequentati durante il primo vero allontanamento da casa. In Francia McElwee compie un pellegrinaggio della memoria, ricostruendo le sue avventure di ventenne, finendo per ritrovare perfino un vecchio amore.
In questo che potrebbe considerarsi quasi un seguito del precedente, McElwee ci mostra, involontariamente, gli effetti nefasti dei metodi educativi documentati già nel film del 2008. Il bambino di allora è diventato oggi un adolescente distratto, inconcludente bloccato dalla propria stessa iperattività. Il padre non capisce quello che ha davanti agli occhi e che inconsapevolmente registra con la sua videocamera. Invece di restare lì dove la crisi si è generata, sceglie di trovare una soluzione altrove, nella narcisistica ricerca - sentimentalmente malinconica - del giovane se stesso che sa di essere stato una volta. McElwee costruisce il suo lungometraggio ondeggiando con incertezza tra il film-performance, il cinediario, il film saggio e l'autoritratto; passa di registro in registro, di argomento in argomento senza riuscire né a trovare un centro coerente e neppure a trascrivere nel film la traccia di un processo. Forse perché un processo vero e proprio, una vera ricerca, una vera domanda non ci sono né all'inizio né alla fine del film: ci si limita invece a prendere atto dell'esistente, godendo del passato non come traccia di un senso, come diagramma di un percorso, ma come accumulo, collezione, raccolta di fatti, di esperienze da conservare secondo il principio di un capitalismo esistenziale incapace di produrre conoscenza. Così anche il viaggio – qui come nel film precedente – non è cambio del punto di vista necessario alla verifica e alla scoperta ma intrattenimento consumistico, passatempo; non esercizio di spaesamento ma pratica del riconoscimento. La memoria si riduce a un comodo svago e il cinema diventa strumento inerte di ripetizione.