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Quando si sente il nome Durga, la memoria riporta al cinema di Satyajit Ray e al suo Il lamento sul sentiero. Nel film del 1955, Durga era la sorella più grande di Apu, e moriva troppo presto di malattia. Sexy Durga è ambientato nell’India di oggi, lontano dal racconto di formazione di Ray e dalla povertà del più recente The Millionaire di Danny Boyle. I protagonisti si trovano catapultati in un incubo on the road, dove le suggestioni visive vanno a braccetto con la criminalità organizzata. Le atmosfere sono quelle di un thriller, a tratti di un horror, che corre veloce nella notte. Il buio è il vero padrone di una strada interminabile, verso un luogo che sembra inesistente, simbolo di una pace che non può essere raggiunta. L’asfalto sempre uguale, immutabile, sembra chiudersi sui viaggiatori, perseguitati da una società classista e sessista.
Sexy Durga si apre con una cerimonia in un villaggio del Kerala: i fedeli celebrano la Dea Kalì e praticano la Garudan Thookam, un rituale dove si canta, si balla e tutto si colora. Ma esiste anche un’anima violenta. Alcuni uomini si fanno trafiggere la schiena con i chiodi per poi sfilare in processione appesi a un carro. Questa sequenza iniziale ha i toni di un documentario e descrive un’India ancorata alle tradizioni, dove la violenza può essere ancora giustificata. Poi il regista Sanal Kumar Sasidharan sposta l’attenzione su una giovane coppia in fuga. Lui si chiama Kabeer, lei Durga e da cosa stiano scappando è un mistero. Vogliono raggiungere la stazione più vicina e andarsene in treno, lontano dal loro presente per costruire un nuovo futuro. Due gangster alla guida di un camioncino si offrono di aiutarli, ma con questo gesto in apparenza gentile si spalancano le porte dell’inferno.
Sasidharan usa la tensione per dipingere il ritratto di un’India in cui la donna ha un ruolo controverso. Non è un caso che la compagna di Kabeer si chiami come la temuta dea. I religiosi offrono doni all’ira e alla furia della potente Durga, nell’immaginario induista la guerriera a cavallo di una tigre che ha sconfitto il demone Brahma, immune a qualsiasi combattente maschio. Il credo non trova però il suo riflesso nel mondo reale, dove alle donne non viene riconosciuto alcun diritto. I malviventi prendono di mira la coppia soprattutto per la presenza di Durga, considerata un’amante da hotel invece che una moglie.
La macchina da presa bracca da vicino innocenti e criminali all’interno del furgoncino degli orrori, mentre all’aperto si nasconde dietro agli alberi, come se volesse spiare invece di riprendere. I dialoghi tra dannati sembrano ripetitivi, ma servono per alimentare l’angoscia e creare quell’atmosfera di panico che tiene incollati alla poltrona. Non emerge un vero protagonista, nessuno ha il carisma per caricarsi il film sulle spalle, perché in fondo siamo tutti uguali, sospesi tra la vittima e il carnefice mentre il minivan della nostra vita continua ad accelerare.