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Le notti bianche di Dostoevskij è un racconto senza tempo che rimane fonte d’ispirazione anche per i registi esordienti. Bresson aveva realizzato le sue Quattro notti di un sognatore a Parigi, Visconti faceva vagare l’iconico Mastroianni per una Livorno ricostruita a Cinecittà, Leonardo Mouramateus sceglie Lisbona per ispirarsi liberamente a quella storia di amore e solitudine. António um dois três (Antonio one two three) è un’opera prima ricca d’inventiva, che cerca nuove soluzioni narrative per raccontare un incontro quasi casuale carico di passione. Il sole su Lisbona tramonta sempre, ma sono i giovani che tengono le luci accese anche alle quattro del mattino, per non smettere di vivere. Il film ha una struttura circolare, dove la stessa vicenda viene riproposta su tre dimensioni diverse. Cambiano il modo di incontrarsi e le dinamiche tra i protagonisti, alla ricerca di loro stessi nella quotidianità. Il fulcro è uno spettacolo teatrale, una versione moderna di questo indimenticabile classico, che si confonde tra realtà e finzione.
Antonio è il sognatore, è il ragazzo che scappa di casa per vincere la solitudine e sentirsi libero. La sera esce e si ferma a dormire in un letto che non è il suo, con il padre che si preoccupa per la sua assenza. Intanto la famiglia riceve una lettera anonima, dove si legge che Antonio ha abbandonato l’università. Il giovane fugge dall’ex fidanzata e lì conosce Debora, la sua Nasten’ka, che entro poche ore dovrà prendere l’aereo per una destinazione lontana. La tenerezza tra i due si trasforma in intimità, poi la storia cambia prospettiva. Questa prima mezz’ora diventa il soggetto della rappresentazione, e Antonio veste i panni di un tecnico delle luci in crisi col regista. Tutto ricomincia, e il sentimento per Debora resta l’unica certezza. L’ultima virata arriva dopo un sogno: la donna si addormenta appena si alza il sipario e le carte si mischiano di nuovo. Sperimentare è la parola d’ordine, soprattutto qui a Pesaro, e si scoprono le tre facce dello stesso film: Antonio one two three.
Del racconto originale di Dostoevskij sopravvive l’anima, ma non lo scorrere degli eventi. Antonio deve lasciare Debora per colpa di un viaggio, non di un altro amante, e Lisbona non è magica come la San Pietroburgo del libro. Mouramateus insiste su come sia difficile sentirsi importanti per qualcuno. Si può essere soli anche in mezzo alla folla, nonostante gli amici e un genitore amorevole. L’unica soluzione è continuare a cambiare ogni certezza, per rimescolare i ruoli e ridisegnare i rapporti.
Quella di Mouramateus è una provocazione riuscita, che si concretizza in un António um dois três (Antonio one two three) solido, lontano dall’enfasi del dramma amoroso e dalle inquadrature da cartolina. La macchina da presa non ricerca le bellezze della capitale portoghese e riprende la sua normalità, dai locali notturni alle scritte sui muri. Debora e Antonio non sono turisti: sono parte di un mondo che vuole ancora sognare.