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Perfect Days
Dalla toilette all’eternità. Vincitore della Palma d'oro per Paris, Texas nel 1984, per la miglior regia nel 1987 per Il cielo sopra Berlino e del Gran Premio della giuria nel 1993 per Così lontano così vicino, il tedesco Wim Wenders porta il sesto film in Selezione Ufficiale a Cannes, Perfect Days, bissando il documentario stereoscopico Anselm sull’artista Kiefer.
In breve, punta alla Palma con la storia umanissima, il racconto poetico di un uomo che pulisce i gabinetti pubblici a Tokyo, Hirayama, incarnato dallo strepitoso Koji Yakusho.
L’affezione di Wenders per il Giappone è notoria, il film cult del 1985 Tokyo-Ga, il successivo peana filmato allo stilista Yohji Yamamoto, la predilezione per Yasujiro Ozu parimenti: “Abbiamo girato Perfect Days sessant’anni anni dopo che Ozu aveva realizzato il suo ultimo film, Il gusto del sakè, a Tokyo. E non è un caso che il nome del nostro eroe sia Hirayama...”.
Una vita semplice, una routine quotidiana molto strutturata da mane a sera, la passione per la musica (Otis Redding, Patti Smith, Van Morrison che ascoltiamo in musicassetta), i libri e gli alberi che fotografa, i gabinetti che meticolosamente – l’inizio senza guanti è temibile – rende immacolati. La nipote carinissima, la sorella estraniata, alcuni incontri ci rivelano un po’ di più del suo passato, ma il suo segreto è il presente, votato alla ricerca e alla cura della bellezza nel quotidiano.
Minimalista e trascendente, paratattico e iterato, i dialoghi ridotti e l’empatia amplificata, Wenders ripassa devoto la lezione di Ozu e si ritrova ai vertici della propria arte, levando la camera, innalzando lo sguardo dalla toilette agli alberi fino al cielo. E lo fa con un uomo apparentemente senza qualità, confinato in un impiego umile, ma quasi miracolosamente, perfino icasticamente destinato a incarnare servizio e bene pubblico, soddisfazione personale ed esternalità positive e, viceversa, soddisfazione pubblica e beneficio personale. Un’epifania poetica, un atto politico.
Sono i suoi - e sperabilmente possono essere i nostri - giorni perfetti, in cui ridere e piangere al volante, inseguire le ombre con un malato terminale, regalare un libro alla nipote, andare spedito e fiducioso verso il sole.
C’è conciliazione ma non rassicurazione, c’è contemplazione ma non decantazione, c’è in Perfect Days un retaggio che dice del qui e ora, e dunque forse dell’eterno: è un film di piccole cose e grandi speranze, è un film che pulisce i cessi ma che non smetteresti mai di guardare.