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Suranga D. Katugampala, originario dello Sri Lanka, ma trasferitosi in Italia sin da piccolo, porta in scena un film minimalista che funge da ponte tra le due culture. Con scarsi mezzi, il filmmaker narra la vicenda di Sunita (Kaushalya Fernando), donna cingalese che divide le sue giornate tra il lavoro di badante e il figlio adolescente (Julian Wijesekara). La loro è una relazione piena di conflitti. Il figlio, cresciuto in Italia, fa esperienza di un’ibridazione difficile per la madre da comprendere, impegnata a lottare per vivere in un Paese al quale non vuole appartenere. Una storia comune quella diretta da Katugampala, che riguarda tanti e parla a tutti. Perché quanto messo in scena in Per un figlio è puro realismo.
I dialoghi, la gestualità, nulla è studiato ma tutto affidato al caso e all’improvvisazione degli interpreti. Ma se da una parte vi è una star della Settima Arte cingalese come la Fernando e un direttore della fotografia quale Channa Deshapriya, dall’altra vi sono degli esordienti come Wijesekara e attori teatrali attivi in piccole realtà. A far da cornice al dramma familiare è la foschia della provincia veneta, che ben restituisce alla vicenda il grigiore che la caratterizza. Suranga non fa dell’immigrazione o del lavoro nero il focus per il suo film. Ciò che pone in rilievo è lo sradicamento socio-culturale forzato che ciascun emigrante è costretto ad affrontare.
Ecco allora la protagonista approcciarsi con timore all’occidentalizzazione del figlio, dedito a trascorrere le sue giornate in compagnia dei suoi amici italiani, ascoltando musica e nascondendo nell’armadio poster di modelle nude. Mentre Sunita vive l’Italia come un passaggio, suo figlio lo avverte come il ‘suo’ Paese, tanto da non riconoscersi nella cultura del suo luogo d’origine, non parlando lo sri lankese e distanziandosi sempre più dalla madre, sino a cercare affetto e maternità in una prostituta. Un low-budget, spesso ripetitivo, impegnato e a tinte cupe che non teme di colpire sotto la cintura. Una storia di vita.