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Ispirato al romanzo Moka di Tatiana de Rosnay, Per mio figlio di Frédéric Mermoud racconta la drammatica vicenda vissuta da Diane Kramer (Emmanuelle Devos), donna ossessionata dalla tragica scomparsa del figlio investito da un’auto pirata. Il suo unico obiettivo è trovare chi le ha ucciso il figlio distruggendole la vita. Sulla base di pochi indizi, si trasferisce nella città in cui abita una raffinata donna (Nathalie Baye), titolare di una profumeria, sospettata dell’omicidio. Diane si insinua nella vita della donna, portando alla luce una verità molto più complessa.
Prese le distanze in fase di scrittura dal soggetto originale, gli sceneggiatori sviluppano un giallo derivativo che tenta, attraverso il ricorso a una moltitudine di elementi tra loro disconnessi e che rendono la trama (più che intrigante) confusionaria, di offrire depistaggi volontari a favore di un finale a sorpresa e inatteso. In effetti, il risvolto ultimo è meritevole, ma nel corso della sua durata il film si concede troppe aperture, conseguenza di una sceneggiatura poco snella, che molto spesso non trovano chiavi interpretative inserendo in un contesto classico spunti originali (ma per niente sfruttati) ed elementi poco chiari in una vicenda già di per sé nera. Gli interpreti si prestano in maniera egregia e anche le location si rivelano una cornice idonea per il chiaroscuro della trama, non a caso caratterizzata da un netto contrasto tra luce e oscurità, con prevalenza di quest’ultima. Nel complesso, Per mio figlio è un classico revenge movie, poco sfruttato e confusionario, che strizza l’occhio ad altre opere, anche recenti, del sottogenere (In nome di mia figlia di Vincent Garenq, ad esempio). Gli stessi personaggi non trovano il giusto spazio per meglio presentarsi allo spettatore a causa di un innesto, poco utile allo sviluppo della trama, di elementi riempitivi fugaci e futili. Un’occasione che poteva essere sfruttata meglio.