Matthias eccelle nel suo lavoro, è il classico uomo per tutte le stagioni, punta di diamante di un'azienda che fornisce ai propri clienti la giusta compagnia per qualsiasi occasione.

Camaleontico, straordinario nell'impersonare chiunque, Matthias un giorno è il figlio perfetto per influenzare l'opinione dei soci di un circolo esclusivo, un altro è il fidanzato colto per far colpo sugli amici, un altro ancora è il papà pilota di aerei da portare a scuola per farvi invidiare dai vostri compagni o, ancora, l'interlocutore di cui avete bisogno per allenarvi a discutere col vostro partner.

Ma dietro la performance, dietro ognuna di queste maschere, Matthias in realtà chi è?

Peacock
Peacock

Peacock

Opera prima dell'austriaco Bernhard Wenger (classe 1992), in concorso alla 39° SIC - Settimana Internazionale della Critica, Peacock (eh sì, il pavone in cui finirà per specchiarsi il protagonista comparirà durante la vicenda...) sin dalle prime battute non fa mistero di guardare al cinema surreale e geometrico di Ruben Östlund, smussandone però lungo il cammino la vena cinica e nichilista: lo spunto di partenza potrebbe ricordare il notevole Alps di Yorgos Lanthimos (2011) - lì un gruppo di attori impersonava i cari estinti di clienti disposti a pagare pur di avere ancora l'illusione di avere accanto le persone amate - ma Wenger non sembra voler affondare il pedale della distopia estrema, gli interessa piuttosto seguire il suo protagonista (Albrecht Schuch, bravo) in questa discesa depressiva che prende il via dall'abbandono della moglie (Julia Franz Richter).

E la riflessione (non nuova, per carità) sulle (s)manie di (auto)controllo, sull'impossibilità di arrivare a definire i contorni di vita e finzione (che cosa succede se l’anziano marito di una cliente scopre di essere stato lasciato dopo che la donna si è rivolta a quell’azienda, a Matthias in particolare?), di realtà e apparenza, sulle derive dell’arte sperimentale e performativa (il finale non può non ricordare la scena dell’uomo-scimmia in The Square) sa anche essere divertente - grazie al classico umorismo mitteleuropeo capace di rimanere in bilico tra la comicità mediterranea e il nonsense nordico - oltre che scevra di qualsiasi furbizia o inutili colpi bassi. 

Con l’auspicio che lo stesso Wenger strada facendo abbandoni i vari modelli di riferimento per non finire – cinematograficamente parlando – come il suo Matthias.