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Passioni e desideri
A Vienna per partecipare a un congresso internazionale, Michael prende appuntamento con una escort. Nel locale stabilito, incontra però un collega tedesco che comincia a fargli domande su donne, fedeltà, menzogne. Così l'appuntamento salta. Uscito di scena Michael, è la volta di John, uomo maturo che dalla natia Inghilterra arriva negli USA: la figlia è sparita anni prima e ora lui si presenta al riconoscimento di una ragazza trovata morta senza altri indizi. Tra L'America e alcune città europee (Parigi, Londra, Bratislava) si inseriscono altre storie e altri personaggi, sempre combattuti tra amori, affetti, sentimenti in affanno. Quando un personaggio ancora sconosciuto (una donna in uno studio fotografico) si appresta a raccontare gli eventi, partendo dalla constatazione che “siamo tutti davanti a un bivio, e si tratta di capire quale direzione imbroccare”, le premesse per quello che seguirà non sono incoraggianti.
Nato a San Paolo del Brasile, Meirelles si era imposto all'attenzione nel 2003 con City of God, esaltato e premiato in tutto il mondo e tuttavia accompagnato dalla sensazione di una sopravvalutazione. Quello che è arrivato dopo ha confermato le perplessità: molti elogi per il corretto ma non esaltante The Constant Gardner in concorso a Venezia e premio Oscar per Rachel Weisz; platee limitate e nessuna uscita italiana per Blindness. Anche in questo nuovo 360 (titolo originale, girato nel 2011), Meirelles parte con grandi propositi e fervide ambizioni, disegna uno scenario in rapida evoluzione tra Europa e America, fa transitare le persone da un aereo all'altro, visualizza scenari urbani, studi fotografici, inseguimenti, improvvise confessioni sui rimorsi individuali. Tutto finalizzato ad addentrarsi con la migliore evanescenza possibile nei fili invisibili dentro i quali corre il destino di ciascuno, a seconda delle scelte compiute. Sull'idea di partenza, debitrice de La Ronde di Schnitzler, ha lavorato in sede di sceneggiatura Peter Morgan (autore di recente dello script di Hereafter di Clint Eastwood).
L'esito è qui decisamente inferiore. Il copione naufraga in una frammentazione narrativa insipida e asettica, che vuol dire presa di distanza da emozioni, sorprese, domande. La cornice tra cronaca e storia (internet, crisi finanziaria, globalizzazione) soffre l'assenza di compattezza visiva. Invano Meirelles fa ricorso ad espedienti di antica data: lo “split screen” come soluzione per movimentare l'azione bisogna saperlo usare, e se non si è Sam Peckimpah è meglio rinunciare. Film mancato dunque che spreca un bel gruppo di attori (Hopkins, Law, Weisz…) , amici del regista ma anche loro poco convinti dell'operazione cui partecipano.