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La voce della radio ha affascinato il cinema attraverso i decenni. Viene utilizzata per spaziare tra i generi, muovendosi principalmente tra il thriller e la commedia, fino a diventare un elemento di frattura, ribellione, come in I Love Radio Rock. L’urlo selvaggio di Robin Williams in Good Morning, Vietnam ha fatto epoca. Spesso è anche un modo per rimanere in linea con l’assassino, pensiamo a Talk Radio di Oliver Stone. Per il regista Mikhaël Hers è la sinfonia di una nazione, accompagna l’evolversi del tempo. Passeggeri della notte è sia il titolo del suo ultimo film che quello della trasmissione in cui lavora la protagonista.
Al centro di tutto c’è proprio lei: la notte. Parigi è ammantata di mistero. I colori sono soffusi, i personaggi si muovono senza requie, inseguiti dai loro demoni, da solitudini diverse che faticano a risolversi. L’inizio sembra quasi ingannare. Vediamo i festeggiamenti per la vittoria di Mitterrand, nel 1981, con gli elettori esaltati per le vie. È una partenza goliardica, in contrapposizione con le atmosfere malinconiche che arriveranno. Hers ragiona su percezioni opposte, sul diverso svilupparsi dei sensi. L’occhio si fa testimone di una felicità condivisa, pronta a riversarsi nei boulevard. L’udito invece coglie la difficoltà nello stare al mondo: la complessità nell’esprimersi, nell’avvicinarsi agli altri. L’immagine sfida il suono.
Passeggeri della notte diventa una storia sulla fiducia nella vita di tutti i giorni, sui piccoli incontri che possono cambiare ogni attimo. È una vicenda che esalta le imperfezioni, accarezza i corpi dei suoi protagonisti per poi allontanarsi. Ognuno ha bisogno della sua dimensione, anche gli spettatori ci si accostano a poco a poco. A rubare la scena è Charlotte Gainsbourg, che mostra una femminilità coraggiosa. Non sfugge alla macchina da presa, non si nasconde. Il suo personaggio è fragile, ferito. È lei il vero “passeggero della notte”. Si aggira per Parigi quando cala il sole. Quando sembra spegnersi, ritrova la forza e si accende. A suo modo arde di passione, nonostante i traumi del passato. Ha solo bisogno di sentirsi di nuovo viva.
Hers realizza un film intimista, che si concentra sui piccoli gesti. Resta fedele al suo cinema, segue la scia di Quel giorno d’estate, che aveva girato nel 2018. Anche allora si parlava di perdita, di memoria. Il giovane David era orfano di padre, la madre lo aveva abbandonato. E il suo unico sollievo erano la sorella e la nipote. I personaggi di Hers non si sentono mai completi, manca loro sempre qualcosa. Può essere la famiglia, gli affetti, o anche una malattia che ha lasciato i segni sul corpo. È come se fossero diari di fantasmi, che si muovono ai margini della società e faticano a essere notati. Sono cronache di speranze perdute, viaggi al termine della notte in cui ogni spirito è alienato, prigioniero dei ritmi frenetici che lo circondano.
Il focus di Passeggeri della notte è su Elisabeth. Si è appena separata da marito, che vive già con un’altra. Ha due figli: Matthias e Judith, e deve trovare un lavoro per mantenerli. Viene assunta dalla conduttrice radiofonica Vanda Dorval, e intanto ospita un’adolescente in difficoltà di nome Talulah. Ad abbracciarli è Parigi, per una volta non una metropoli romantica, ma una capitale malinconica, a tratti deserta. Hers la dipinge con la macchina da presa attraverso gli anni Ottanta. Spegne ogni facile entusiasmo, rallenta i ritmi e diventa il narratore di una vicenda all’apparenza comune, mai sofisticata, in cui gli unici vincitori sono coloro che riescono a sorridere guardando l’alba.