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Parto col folle
Non lo chiameremo un incidente di percorso. Parto col folle però non muove di un passo la carriera di Todd Phillips. L'autore di Una notte da leoni ci aveva abituati bene, senza dubbio, ma qui non sembra nemmeno avvicinarsi all'acerba, greve, scorribanda degli esordi (Road Trip), preferendo mettersi in viaggio - tema che attraversa tutto il suo cinema - col freno a mano tirato. Il risultato è una commedia che, gira e rigira, non ci porta da nessuna parte. Non c'è evoluzione: né per Phillips né per i suoi personaggi, che arriveranno alla meta così come erano partiti.
Protagonisti un architetto fighetto e ansioso di tornare a Los Angeles per la nascita del primo figlio, e un aspirante attore di sit com, eccentrico e improbabile, ciccione, effeminato e combinaguai, atteso ad Hollywood per un provino. Difficile immaginare interpreti più adatti di Robert Downey Jr. e Zach Galifianakis, e non è un caso che le loro reciproche idiosincrasie siano ciò che funziona meglio nel film (merito soprattutto del secondo). Con loro anche un bulldog onanista e le ceneri del padre del ciccione conservate in un barattolo di caffè. Per una serie di incredibili equivoci e sciagurate coincidenze i due protagonosti verranno espulsi dall'aereo sul quale avrebbero dovuto viaggiare, per ritrovarsi ad attraversare l'America su una macchina presa a nolo. Un on the road segnato da gag rocambolesche e tragicomici sinistri, un paio da ricordare: la lunga sequenza di fuga dalla frontiera messicana e, poco prima, la "stupefacente" esecuzione che Galifianakis e Downey Jr. fanno del classicone dei Pink Floyd, Hey You. Peccato che il film sia un remake non dichiarato di Un biglietto in due, riuscita commedia anni '80 con Steve Martin nei panni dell'uomo d'affari serissimo e John Candy in quelli dell'ingombrante accompagnatore. La differenza è che Parto col folle arriva secondo, imbarcando ingiustificate presenze (Juliette Lewis, Michelle Monaghan e Jamie Foxx), imprevisti "previsti" e sberleffi riciclati. Il più smaccato? Il momento in cui Galifianakis si sbarazza del "padre in polvere" di fronte al Grand Canyon. Sembra di rivedere il grottesco rituale che si consuma nel Grande Lebowski (peraltro John Goodman ha analoghe fattezze del protagonista di Parto col folle), solo che l'operazione - e la sequenza - dei Coen era ferocemente dissacrante, mentre quella imbastita da Phillips difetta di coraggio: stavolta le ceneri volano dalla parte giusta e il cerimoniale va a buon fine, con tanto di dolente musichetta d'accompagnamento. Dove il film però stecca clamorosamente è nelle deprimenti sedute psicanalitiche improvvisate dai due male assortiti compagni di viaggio. Molle successione di ricordi e aneddoti biografici che dovrebbero avvicinarli un po'. Non basteranno, ma avanzano in compenso ad alienare tutti noi.