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Viene dall'Argentina il primo film della diciannovesima edizione della Settimana Internazionale della Critica (Sic). Parla dell'amore, ma non a vent'anni, bensì a 25. I giovani, carini e ben occupati Pedro e Sofia sono l'oggetto d'analisi della regia a otto mani di Alejandro Fadel, Martín Mauregui, Santiago Mitre, Juan Schnitman, laureandi all'Universidad del Cine, la più antica di Buenos Aires. Un po' spiritoso saggio antropologico/scientifico, un po' commedia sentimentale, El amor (e "primera parte" va specificato perché i registi hanno in cantiere una seconda parte che vedrà la luce fra non prima di dieci anni) può diventare un piccolo oggetto di culto tra amici e vicini di casa degli autori. Digitale come marchio di fabbrica e come espediente di forzata autenticità, il film che apre la Sic ha però una carenza di fondo che non si colma con il procedere dei minuti: vorrebbe essere concetto paradigmatico per il tema trattato ma finisce per rinchiudersi nelle quattro mura del minimalismo domestico. Proprio come quelle quattro mura dell'appartamento in affitto dei due protagonisti: tetra e lugubre tomba dell'amore e del desiderio (non a caso è popolata da invisibili pipistrelli) dopo due anni di fidanzamento felice, o quasi. I due venticinquenni si conoscono su un traghetto, si piacciono, si rincontrano, si fidanzano e cominciano a convivere. Bar, teatri, videoteche e luna park sono i luoghi della costruzione del rapporto, feromoni e dopamina il cemento che lo solidifica e lo erge. Ed è qui che il gioco di Fadel e soci si fa complicato: si comincia a trattare il "caso", il "destino" e a mescolarlo con i documentari modello statunitense anni '50 (sia chiaro, divertentissimi), che spiegano razionalmente lo svaporarsi e la definitiva scomparsa dell'attrazione. E noi che amiamo Kieslowski e lo eleviamo a filosofo-cineasta indiscutibile, pretendere di capire, di spiegare, di rendere scientifico l'apparire e il dissolversi dell'amore ci pare operazione peregrina e pretenziosa. Ipotetica spiegazione del mezzo passo falso, il fatto che tecnicamente il film è stato suddiviso in sequenze scritte da un regista e poi girate da un altro. Metodo didattico (i corsi di cinema di Alain Bergala) e bizzarro come gli stralunati e poetici sottotitoli impressi nella copia originale.