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Paradiso in vendita
L’amore o la politica, chi avrà la meglio? La singolar tenzone è appannaggio di Paradiso in vendita, che Luca Barbareschi porta in Concorso (Progressive Cinema) alla XIX Festa di Roma. Almeno nelle intenzioni, “una storia poetica, divertente e tenera, in cui il romanticismo combatte contro l’arroganza politica”, il dramedy parte da un’ipotesi non peregrina, che il governo italiano a corto di danaro decida di vendere ai francesi Fenicusa, ovvero Filicudi, una delle perle delle Eolie.
Per perfezionare l’affare, giunge sull’isola François (Bruno Todeschini), soprannominato Richelieu: fuoriclasse delle negoziazioni, stratega senza scrupoli, civil servant con adieu per parola d’ordine, cercherà di acquisire tutte le proprietà dei nativi per permettere un massivo sfruttamento turistico ai connazionali. Mosso dall’ambizione di diventare ministro dell’Economia, lavorerà a mestiere gli isolani, provando al contempo qualche sentimento per la bella Marianna (Donatella Finocchiaro): fino a che punto sarà disposto a spingersi per la ragion di Stato?
Manipolazioni e lottizzazioni, in vendita non è solo il paradiso delle Eolie, ma l’integrità morale di François, che pure sullo stomaco ha un folto pelo, e Barbareschi si concede ampi supplementi di indagine: dura 107’, e 20’ si potevano levare, ché le interazioni tra il francioso e i villici sono appunto iterazioni, dove poco accade e molto, tutto si ripete, comprese le schermaglie amorose tra il galletto e Marianna.
La sceneggiatura è un’intercapedine tra soggetto e resa su schermo, i dialoghi di complemento e d’arredo, e l’abbacinante magnificenza della location si mangia tutto, e come altrimenti: un documentario sulle bellezze dell’isola, non era meglio?
“Ibridando” Benvenuti al Sud, Pacifiction e Finalement, Paradiso in vendita poco sugge e poco suggerisce, a parte folklore dialettale, oleografia antropologica, moniti sulla speculazione finanziaria e vieppiù politica, circonvoluzioni drammaturgiche. La possibilità di un’isola, l’impossibilità del film.